Il successo di tante discipline sportive è legato ai grandi eventi che le vedono protagoniste, perché è vero che per il successo di uno sport occorrono i grandi campioni, ma è altrettanto vero che bisogna creare quelle competizioni in cui essi possano scendere in campo e gli scenari dove cimentarsi.
Cosa sarebbe l’atletica senza i Giochi Olimpici? Il basket senza la NBA? O i grandi match di pugilato senza il Madison Square Garden?
Tutti posti o competizioni in cui i campioni di quegli sport possono esibirsi, confrontarsi, arrivando al massimo livello.
Lo stesso vale anche per il calcio, che ci esalta da più di un secolo, ma che ha visto la sua popolarità crescere a dismisura, fino a diventare globale, nel momento in cui in Francia Jules Rimet ebbe la bella idea di creare il Campionato del Mondo, in cui si sfidavano le varie nazionali.
In Europa il punto più alto si è raggiunto con le Coppe Europee, soprattutto con l’attuale Champions League, che è diventata la competizione di riferimento, quella che squadre e campioni sognano di vincere per scrivere il proprio nome nel libro delle leggende.
Tutto questo avviene, però, dalla metà degli anni Cinquanta, quando un’Europa con almeno una parvenza di unità e pace dopo due disastrose guerre mondiali, permise la nascita della Uefa e delle competizioni internazionali per club.
Prima, comunque, già si giocava, c’erano state altre coppe che non coinvolgevano tutte le nazioni, ma certamente quelle calcisticamente più importanti ed evolute, Inghilterra a parte, competizioni che possono essere individuate come le progenitrici di quelle attuali, e una delle più importanti fu la Mitropa Cup, la Coppa dell’Europa Centrale, così chiamata per la crasi di Mittel Europa Cup.
Lo stesso il suo ideatore, l’austriaco Hugo Meisl, uno dei padri del calcio moderno, avrebbe poi fatto con la Coppa Internazionale, riservata alle squadre nazionali e che sarebbe partita sempre nel 1927, a novembre.
La formula prevedeva il confronto tra squadre di Austria, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Ungheria, cioè le più forti rappresentanti del calcio danubiano, con l’Italia che avrebbe sostituito la Jugoslavia nel 1929 e l’inserimento successivo delle squadre della Svizzera, nel 1936.
Un torneo regionalizzato, ma le divergenze politiche e belliche dell’epoca tra i vari stati non permettevano di più, questo torneo si potrebbe accostare alla formula attuale della Champions League, con più squadre partecipanti della stessa nazione, inizialmente due, poi quattro.
Come scritto, fu nel 1929 che partecipò per la prima volta l’Italia, rappresentata dal Genoa FBC 1893, al posto del Torino che aveva vinto lo scudetto, e dalla Juventus, che però furono subito eliminate.
La stagione successiva andò meglio all’Ambrosiana che raggiunse le semifinali, così come la Roma nel 1931, e si arrivò a quella del 1932, dove in rappresentanza dell’Italia erano chiamate la Juventus campione d’Italia e il Bologna vicecampione.
Quest’ultimo era guidato dall’ungherese Gyula Lelovics, ispirandosi quindi ai dettami tecnici della scuola danubiana, costruito sull’asse Mario Gianni in porta, Eraldo Monzeglio in difesa, Gastone Baldi a centrocampo e i gol di Angelo Schiavio, Carlo Reguzzoni e dell’oriundo Raffaele Sansone in attacco.
In campionato, dopo un’ottima prima fase, ci fu solo il secondo posto alle spalle della Juventus, piazzamento che valse, come detto, la qualificazione alla Mitropa Cup insieme ai bianconeri.
Con il campionato concluso solo una settimana prima, il primo ostacolo nei quarti dei felsinei fu lo Sparta Praga, superato allo Stadio Littoriale con un roboante cinque a zero, bottino che permise ai rossoblu di gestire il ritorno, perso tre a zero.
In semifinale c’erano gli austriaci del First Wien, ancora disse bene l’andata in casa, vinta due a zero, al ritorno la sconfitta fu contenuta (uno a zero), e restava da disputare solo la finale, che non si giocò.
L’altra finalista sarebbe dovuta uscire dalla semifinale tra Slavia Praga e Juventus, ma gli incidenti capitati nella gara di ritorno a Torino dopo che l’andata era terminata con la vittoria dei cecoslovacchi per quattro a zero, portarono alla squalifica di entrambe le squadre, per cui il Bologna, caso più unico che raro, si ritrovò campione senza giocare.
La stagione successiva fu l’Ambrosiana a raggiungere la finale, dove fu sconfitta a Vienna dall’Austria Wien (tre a uno), dopo aver vinto l’andata a Milan due a uno.
La replica bolognese, stavolta senza incompletezze e incertezze, nel 1934.
Ancora la Juventus vinse il campionato, al culmine del suo Quinquennio d’Oro, il Bologna fu solo quarto, ma la formula del torneo si era allargata a quattro partecipanti per nazione, per l’Italia, oltre a bianconeri e rossoblu, c’erano anche Ambrosiana e Napoli, quest’ultimo al debutto in una competizione internazionale.
Gli ottavi di finale videro subito l’eliminazione dell’Ambrosiana a opera dei cecoslovacchi del Kladno e del Napoli, ma solo allo spareggio contro gli austriaci dell’Admira Wien, mentre la Juventus aveva ragione, abbastanza facilmente, dei cechi del Teplitzer e con più difficoltà il Bologna degli ungheresi del Bocskai.
Ancora avanti le italiane rimaste nei quarti, che ebbero la meglio i bianconeri sull’Ujpest e i rossoblu sugli austriaci del Rapid, questa corsa in parallelo si interruppe in semifinale, quando la Juventus fu eliminata dall’Admira Wien e il Bologna superò il Ferencvaros.
Le finali si disputarono il 5 e 9 settembre, l’andata a Vienna vide i felsinei perdere tre a due ma uscire tra gli applausi del pubblico, nel ritorno la squadra allenata da Lajos Kovacs prevalse con un sonoro cinque a uno, grazie a una tripletta di Reguzzoni e alle reti di Bruno Maini e Francisco Fedullo, conquistando il trofeo per la seconda volta, sentendo stavolta la vittoria completa e legittimata.
Questa prima fase della competizione arrivò fino al 1939, quando ci fu l’interruzione per gli eventi bellici, solo nell’edizione del 1937 ci fu un’altra italiana in finale, la Lazio, ma fu superata dagli ungheresi del Ferencvaros.
Dopo la guerra, il torneo riprese in tono minore, l’Europa aveva raggiunto una situazione di stabilità almeno apparente, i tempi erano maturi perché si creasse un’unione del calcio, e nacque così la Uefa, con il conseguente inizio della Coppa dei Campioni, che avrebbe posto fine a tutti i tornei minori.
La Mitropa Cup continuò ancora con la formula a inviti, alle nazioni classiche si aggiunsero Bulgaria e Romania, proseguendo in questo modo fino al 1979.
In questo periodo sono da registrare le finali consecutive perse dal Bologna, nel 1961 a opera dei cecoslovacchi del Nitra e nel 1962 degli ungherese del Vasas Budapest; la vittoria della Fiorentina nel 1966 che, dopo quella persa la stagione precedente sconfitta dal Vasas Budapest, dopo essere stata ammessa direttamente in semifinale, superò prima gli austriaci del Wiener SK e poi in finale i cecoslovacchi dello Jednota Trenčin (uno a zero).
Ancora una finale persa dalla Viola nel 1972 contro gli jugoslavi del Čelik Zenica, poi la manifestazione arrivò, come detto, al 1979.
Quell’anno il torneo non fu disputato, riprese la stagione successiva e nuovamente modificato, riservato alle società vincitrici dei campionati cadetti, e qui le vittorie italiane si moltiplicarono.
Quasi a rimarcare anche in questa competizione il periodo d’oro del calcio italiano si succedettero le vittorie, al termine di gironi all’italiana, dell’Udinese nel 1980; del Milan nel 1982, che può annoverare anche questo trofeo tra le tante Coppe dei Campioni; del Pisa nel 1986 e nel 1988, con l’intermezzo dell’Ascoli nel 1987; del Bari nel 1990 e del Torino nel 1991 in finali tutte italiane, i primi contro il Genoa (uno a zero), i secondi contro il Pisa (due a uno dts).
Nel 1992 il canto del cigno, l’ultima edizione fu vinta dagli jugoslavi del Borac Banja Luka sugli ungheresi del Budapest VSC (uno a uno, cinque a tre ai tiri di rigore), italiana partecipante il Foggia, sconfitto in semifinale dagli slavi.
Poi, questa competizione che a lungo aveva rappresentato il massimo a livello continentale, non fu più disputata, fagocitata dalle attuali coppe europee.
Resta il ricordo di un torneo che, prima che l’Europa diventasse un continente unito, dette l’opportunità di confronto alle grandi scuole calcistiche dell’epoca, insignendo i vincitori del titolo di campione continentale.
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.