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1994, il Mondiale dei “SE”. L’importanza di un campione per la sua squadra

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GLIEROIDELCALCIO.COM  (Andrea Gioia) – Vi siete mai chiesti quanto sia importante il talento nella storia di un calciatore?

Adesso che avete trovato una risposta, provate a capire se conta più la fortuna o la capacità nel processo evolutivo di una carriera sportiva.

Se sommiamo questi due fattori e torniamo al 1994, possiamo esaminare la storia di un campionato del mondo, di una squadra partita con poche aspettative e di una calciatore senza eguali. Il 17 Novembre del 1993, la maggior parte degli italiani vive in trepidante attesa il futuro della nazionale.

Ci si gioca l’ingresso al pretenzioso “mondiale americano” contro il Portogallo dei talenti Rui Costa e Futre.

Ci basta un pareggio ma, su un tiro respinto, Dino Baggio ha la fortuna di trovarsi una palla pesantissima tra i piedi e di trasformarla in oro. Vinciamo.  SE avessimo perso, non avremmo potuto raccontare questa storia.

Nel ritiro pre-mondiale di Coverciano , l’innovatore Sacchi cerca di ripetere le gesta che nel Milan lo hanno reso calcisticamente immortale.

Ci sono grosse individualità, soprattutto in difesa: BaresiMaldini su tutti, ma anche l’esplosivo Benarrivo ed il talentoso Minotti (questi ultimi protagonisti del mitico Parma anni ’90). Il centrocampo e l’attacco conservano giocatori talentuosi e realizzatori senza eguali: Donadoni (padrone dei dribbling di fascia e reduce da una prestazione strabiliante nella finale di Coppa Campioni), Zola (l’erede italiano del pibe Maradona per via dei suoi trascorsi napoletani) e Signori (forse il migliore attaccante italiano di quel decennio).

E poi c’è lui, RobertoBaggio (si scrive e si pronuncia tutto d’un fiato).

Il Divin Codino arriva a quel mondiale con il titolo di Pallone d’Oro in carica sulle spalle e con un ginocchio in meno. Ma ci arriva  bene, tutto sommato. E’ assolutamente il giocatore più forte che l’Italia abbia conosciuto dai tempi del Golden Boy Rivera.

E di Rivera ha la stessa semplicità silenziosa.

Il 6 Aprile del 1994, in una amichevole pre-torneo, la nazionale perde tutte le sue certezze contro una sconosciuta ma onorevolissima formazione di provincia: il Pontedera.

Sembra scarica quella squadra e sembra scarico anche il suo campionissimo. Si va in America con tante speranze ma poche certezze.

Iniziamo male, perdendo la faccia contro una guardinga e furba Irlanda e il destino sembra voltarci le spalle nella seconda partita del girone, quella contro la Norvegia del gigante Tore Andre Flo.

Probabilmente, il velocissimo Benarrivo avrebbe raggiunto quel pallone toccato fuori area dall’incolpevole e poi espulso Pagliuca; la storia, per , prende spunto da quell’espulsione per creare una sorta di crepa ulteriore in una nazionale che si mostrava già fragilissima.

Sacchi sceglie proprio lui, il ragazzo di Caldogno, che improvvisamente si trova a passare da salvatore a sacrificato. L’Italia vince e poi pareggia con il Messico.

SE non si fosse creato uno strano gioco di numeri tra goal fatti e subiti, non avremmo potuto continuare a scrivere questo articolo. Invece arriva la Nigeria di Okocha e Amokachi, una squadra fisicamente fortissima e tecnicamente simbolo di una rinascita africana.

L’Italia sembra schiacciata dallo strapotere atletico di questi ragazzoni che vinceranno, due anni più tardi, il torneo calcistico olimpico.

Subiscono la veemenza e la voglia sportiva dei nigeriani, oltre ad un fortunoso e rocambolesco goal.

Finché, al 43esimo minuto del secondo tempo, in quel caldissimo 5 Luglio 1994, Roberto Mussi vince un contrasto e serve un passaggio rasoterra al giocatore simbolo di quella nazionale. Roberto Baggio, sotto lo sguardo fiducioso di mamma Matilde, mette una palla deliziosa in un angolo impossibile, di prima, con un tocco superlativo quasi da biliardo.

La storia cambia, quando tutto sembrava già scritto.

SE non ci fosse stato lui, quella nazionale avrebbe fallito.

Baggio si ripete contro la Spagna e, ancora una volta, disegna una traiettoria impossibile che rende vano l’intervento di un forse colpevole Abelardo (magari con la gamba sinistra ci sarebbe arrivato).

Ci porta in semifinale, una semifinale talmente tanto impensabile da sembrare surreale. L’avversario è la sorprendente Bulgaria di Hristo Stoichkov, una squadra arrivata al mondiale grazie ad uno spareggio che ha fatto piangere i francesi, sconfitti all’ultimo minuto al Parco dei Principi.

Tanto talento e voglia di emergere, che per  non bastano a fermare l’arte di un Divin Codino ormai proiettato verso il suo secondo Pallone d’Oro e verso il suo primo mondiale (dopo quello sfortunato del 1990).

Due goal capolavoro in sequenza che distruggono le ambizioni bulgare e che lo consegnano all’olimpo calcistico al quale appartiene di diritto.

Ma il mondiale è un evento strano, particolare, ristretto in un arco di tempo talmente ridotto da rendere l’imprevedibilità un fattore fondamentale.

Le lacrime di Baggio si uniscono ad una lesione muscolare che, di fatto, ne azzera le infinite doti tecniche.

Il 17 Luglio 1994, sotto i 40 gradi del Rose Bowl di Pasadena, va in scena una finale senza il vero protagonista di quella cavalcata.

Un grande calciatore privato della sua tecnica, dei suoi muscoli e del suo ginocchio; un calciatore che coraggiosamente tira, e dignitosamente sbaglia, un rigore quasi inutile ma giudicato, a torto, decisivo.

Ora, provando a rileggere questo articolo, fatevi queste due domande:

SE Baggio avesse giocato al 100%, avremmo perso?

-Conta più il talento o la fortuna nella vita di un calciatore?

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Classe '83, viaggiatore instancabile ed amante del calcio e dello sport tutto. Una Laurea in Comunicazione, una tesi sul linguaggio giornalistico sportivo degli anni '80 ed una passione per il collezionismo, soprattutto quello inerente la nazionale italiana. Alla sua attività turistica, associa collaborazioni con giornali del mondo travel. Testata preferita: GLIEROIDELCALCIO.COM"

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