La pittura murale è una forma artistica che ha radici assai lontane: dalle caverne dell’uomo preistorico agli affreschi pompeiani, dalle civiltà precolombiane ai cicli pittorici medievali fino alle grandi volte rinascimentali interamente affrescate
Come sfogliare contemporaneamente un libro d’arte ma anche di storia. La pittura murale del Novecento ha invece prevalentemente assunto una funzione didascalica e socio-educativa poiché, come ebbe a dire Sironi “La pittura murale è pittura sociale per eccellenza”.
Anche se spesso usata per esaltare i valori delle ideologie al potere, si è sempre più caratterizzata come mezzo di rappresentazione di un momento storico o sociale particolarmente importante, come ad esempio i murales di Belfast ed altre città nordirlandesi o quelli sul muro che divide Israele dalla Palestina. In alcuni casi sono diventati addirittura simbolo di rinascita, quasi di rivincita, su una storia che legava a mali secolari e in modo quasi indissolubile il nome di Orgosolo al fenomeno del banditismo.
Anche a Genova, da qualche anno, si sono sviluppate iniziative in tal senso volte soprattutto a sottolineare la riqualificazione urbana della città, specie nelle zone periferiche ma pure in pieno centro, come i piloni della Sopraelevata o i Giardini Luzzati.
Il tema calcistico, in una città così legata a questo sport, ha trovato da qualche mese una propria laica epifania in una serie di murales all’esterno dello Stadio Luigi Ferraris dal lato della Gradinata Nord, la “casa” della tifoseria del Genoa. Una serie di immagini che, oltre a coprire le usuali scritte volgari ed offensive nei riguardi di altre squadre o tifoserie che spesso imbrattano muri ed altro nelle immediate vicinanze di uno stadio, hanno inteso rappresentare in modo iconografico il legame che esiste tra la città e la squadra.
Così, attraverso temi e personaggi strettamente legati alla storia calcistica, che prendendo le mosse dalla riproduzione dell’atto di fondazione a data 7 settembre 1893 a quella di una paio di scarpe, forse più esatto definirli scarponcini, da football e un pallone con la cucitura dell’epoca del pionierismo, l’immagine di James Spensley e quella che ricorda i 9 scudetti conquistati, sino ad arrivare alla riproduzione di un biglietto legato alla magica notte del marzo ’92 in cui, prima squadra italiana anche in questo, il Genoa espugnò Anfield, trova infine espressione in un “luogo della memoria” in cui si riuniscono idealmente l’indimenticato capitano Gianluca Signorini e l’atto d’amore, ad un tempo profezia, con cui Franco Scoglio ha tramandato la sua genoanità: “Quando morirò, sono certo, lo farò parlando del mio splendido Genoa”. Con loro, Fabrizio De Andrè, così pervaso di amore sacro e non profano per il Genoa da rispondere a chi gli chiedeva di scrivere una canzone di esserne impossibilitato perché “troppo coinvolto”.
Ma non mancano, anzi numerosi, i riferimenti a Genova, alla città. A partire dalle parole con cui Francesco Petrarca la illustrò, “Superba per uomini e per mura”. E ancora: la Lanterna, Porta Soprana, l’imponenza delle cui mura dissuase il Barbarossa, le caravelle di Colombo, Balilla…” Ma se ghe penso”, infine, inno della genovesità, per i genovesi ovunque sparsi nel mondo.
Viene da pensare, davanti a queste pagine di storia dipinta, che quando Paolo Conte la scrisse, “Genova per noi”, pensando a quelli con l’espressione “un po’ così prima d’andare a Genova”, inconsciamente finì per dedicarla proprio ai genovesi. gente selvatica, “strana, randagia, malmostosa, diffidente” (cit. De Andrè). gente che, come recita uno dei murales, “solo chi soffre impara ad amare”.