Da sempre il calcio ha fatto parte dei Giochi Olimpici, da sempre, però, è considerato un intruso nel mondo delle discipline lì rappresentate.
L’ecumenica diffusione, probabilmente, il fatto di essere uno sport conosciuto e praticato in tutto il mondo, porta ad una certa ritrosia le altre discipline, che proprio nei Giochi hanno uno dei loro pochi momenti di notorietà e protagonismo, minacciato, appunto, dal calcio. Questo ha fatto sì che il calcio ai Giochi vedesse protagonisti diversi rispetto alle grandi manifestazioni dedicate, la discriminante era lo status dei partecipanti, se dilettanti o professionisti. A lungo questo è stato un motivo di contesa, basti pensare all’uscita dell’Inghilterra dalla Fifa nel periodo dei mondiali di calcio tra il 1930 e il 1950, oppure alla Svezia che solo ai mondiali casalinghi del 1958 convocò i professionisti che giocavano all’estero (tra cui il Gre – No – Li milanista), sempre per i mondiali.
Per i Giochi no, lì la “purezza” doveva essere totale, ma anche lì è durata fino a quando il “dio denaro” non ha iniziato a prendere il sopravvento, richiedendo sempre più perfezione nelle prestazioni degli atleti che non potevano, inevitabilmente, essere più solo dilettanti. Questo, però, creò una sorta di corto circuito perché fino all’edizione del 1952, per un accordo tra Fifa e Cio, al torneo di calcio potevano partecipare solo squadre di dilettanti, cosa che creò una notevole disparità di valori, perché permise alle squadre del blocco dell’Est europeo di schierare sempre le formazioni maggiori, mantenendosi in quelle nazioni lo status di dilettante per tutto lo sport.
Ciò ha permesso, se non altro, che fossero protagoniste vincenti nazionali che poi non sono mai riuscite a imporsi nell’albo d’oro della grande competizione mondiale, pur arrivando a sfiorare il successo con la “Squadra d’Oro” dell’Ungheria e con la Cecoslovacchia, ma poi solo piazzamenti. I Giochi Olimpici hanno permesso, quindi, questa sorta di sdoganamento del calcio dell’Est, e non sarebbe stata la prima volta, perché avrebbero tenuto a battesimo anche un’altra primizia. Da anni il mondo del calcio è in attesa della definitiva affermazione del calcio africano, ma per la verità questa affermazione ci sembra piuttosto capziosa: vero è che solo in questa edizione del 2022 una nazionale africana, il Marocco, è riuscito ad entrare nel novero delle prime quattro nazionali del mondo, ma nel suo sostrato si può affermare che il calcio africano ha, ormai, sicuramente invaso, con i tanti suoi rappresentanti sparsi per l’Europa ed il mondo, per genia diretta o indiretta, il calcio dell’intero globo terracqueo.
Il perché, poi, non riescano a convogliare il loro riconosciuto talento anche nelle nazionali per affermarsi ai grandissimi livelli, può essere spiegato con le difficoltà a fare gruppo, con le divisioni tribali che ancora molte nazioni africane vivono, con l’essere sostanzialmente liberi, difficili da irreggimentare le capacità calcistiche dei singoli. In pratica, in uno sport fondato sul collettivo, l’individualità prevale ancora e non riesce a fare squadra nel proprio ambito, anche se poi, presi singolarmente, molti fanno la fortuna delle loro squadre di club. In nazionale no, e proprio ai Giochi Olimpici si deve questa rara primizia.
Siamo nel 1996 e i Giochi della XXVI Olimpiade si sarebbero svolti ad Atlanta, negli Stati Uniti, la Nigeria avrebbe, tra gli altri, partecipato al torneo di calcio maschile.
Il calcio nigeriano stava vivendo, in quegli anni Novanta, un periodo d’oro, con giovani calciatori che già avevano avuto modo di farsi conoscere sul proscenio internazionale. A testarne forza e capacità era stata, nel 1994, proprio l’Italia ai mondiali americani quando Emmanuel Amunike aprì più di un baratro sotto i piedi degli azzurri fino a che Roberto Baggio, con una doppietta tra la fine della partita e i tempi supplementari, fece ridiscendere l’Italia dall’aereo dell’eliminazione. Molti di quei giocatori sarebbero stati protagonisti anche due anni dopo ad Atlanta: oltre ad Amunike, erano presenti Daniel Amokachi e Uche Okechukwu in qualità di fuoriquota, ma anche Jay Jay Okocha, Sunday Oliseh e Victor Ikpeba, giovanissimi nel 1994 e in quota per l’Under 23 Olimpica, oltre a Taribo West e Nwankwo Kanu che avrebbero giocato anche in Italia.
Le Super Aquile non godevano dei favori del pronostico, in quel torneo a cinque cerchi furono inserite nel gruppo D con Brasile, Giappone e Ungheria, favoriti d’obbligo i verdeoro. Ispirata al modello calcistico olandese, e da un olandese allenata, Jo Bonfrere, in continuità con il lavoro fatto con la prima squadra dall’altro tecnico orange Clemens Westerhof, alla fine i nigeriani vinsero con Ungheria (1-0) e Giappone (2-0), persero di misura con il Brasile (1-0, a segno Ronaldo Il Fenomeno), riuscendo a qualificarsi per i quarti grazie alla differenza reti favorevole sui nipponici.
La fase a eliminazione diretta vide i nigeriani qualificarsi alle semifinali superando il Messico (2-0), trovando di nuovo il Brasile.
La partita che ne scaturì fu bellissima, incerta e spettacolare: i sudamericani chiusero il primo tempo sul tre a uno grazie alla doppietta di Flavio Conceição e al gol di Bebeto, con gli africani a segno solo su autorete di Roberto Carlos. La partita sembrava segnata, perché il risultato non mutò fino a venti minuti dal termine, poi si scatenò la furia nigeriana, travolgendo, tsunami verde, l’onda gialla diventata troppo presto placida e ora inerme. Ikpeba accorciò a dodici minuti dalla fine, Kanu pareggiò al novantesimo e mandò nel deliriio un’intera nazione al quarto minuto del primo tempo supplementare, quando trovò il golden gol che fece piangere il Brasile.
In finale, ad aspettare gli africani c’era la fortissima Argentina.
Allenata da Daniel Passarella, l’albiceleste nel girone vinse solo contro i padroni di casa degli Stati Uniti (3-1), accontentandosi del pareggio contro Portogallo (1-1) e Tunisia (1-1), sufficienti per arrivare ai quarti. Qui si sbarazzò facilmente della Spagna (4-0), prima di incontrare di nuovo il Portogallo e stavolta superarlo senza sconti (2-0). Il 3 agosto 1996, nella città di Athens, nello Stato della Georgia, in un esaurito Sanford Stadium fu il nostro Pierluigi Collina a fischiare l’inizio di una finale che sembrava dall’esito scontato e ci mise solo tre minuti a ribadirlo, il tempo che occorse a Claudio Lopez per superare Joseph Dosu.
Gli africani non si demoralizzarono e reagirono subito pareggiando con Celestine Babayaro e mettendo il match sul piano dell’equilibrio. Nel secondo tempo questo sembrò spezzarsi ancora in favore dei sudamericani che andarono in vantaggio con un calcio di rigore trasformato da Hernan Crespo, ma ancora Amokachi trovò il pareggio, e proprio al novantesimo Amunike regalò la vittoria e il primo trionfo importante ad una nazionale africana.
3 agosto 1996Sanford Stadium, Athens Argentina-Nigeria 2-3
Argentina: Cavallero; Ayala, Zanetti, Chamot, Sensini; Morales (58’ Simeone), Almeyda, Bassedas; C. Lopez, Crespo, Ortega. CT: Daniel Passarella
Marcatori: 3’ C. Lopez (A); 28’ C. Babayaro (N); 50’ Crespo (N) rig.; 74’ Amokachi (N); 90’ Amunike (N)
Al fischio finale di Collina un’incredibile gioia verde travolse il campo, mentre in Nigeria iniziavano i festeggiamenti. Non sarebbe stato un trionfo effimero, perché le Super Aquile seppero conquistare l’argento a Pechino 2008 e il bronzo nel 2016 a Rio de Janeiro, senza però riuscire a ripetersi fuori da questo ambito. Aspettiamo ancora un grande trionfo mondiale, ma la generazione d’oro delle Super Eagles seppe regalare sogni e portare il calcio africano oltre le Colonne d’Ercole dei confini continentali.