GAZZETTA.IT (Walter Veltroni) – “Allo sbandamento dell’Esercito italiano seguito all’armistizio, Emilio Po raggiunse la sua città e si unì ai primi gruppi partigiani che si stavano costituendo nel Modenese. Entrato nella 65ª Brigata GAP “Walter Tabacchi” ebbe l’incarico di ispettore della formazione. Esperto, com’era, di esplosivi, Po partecipò a numerose azioni di sabotaggio. Fu catturato dai fascisti proprio mentre stava costruendo un ordigno. Fu seviziato con un ferro rovente perché rivelasse il nome dei suoi compagni. Ma Emilio Po non parlò. I suoi aguzzini cosparsero allora il suo corpo di benzina e lo diedero alle fiamme. Ridotto a una piaga vivente, il falegname fu trascinato sino in Piazza Grande e fucilato con altri due antifascisti”. Non la sapevo, tutta questa storia, raccontata nel sito dell’Anpi, quando scrivevo a un indirizzo per me magico di Modena. Avevo otto o nove anni e, a una settimana dall’invio, tornato da scuola correvo alla casella della posta per vedere se era arrivata una busta bianca da Viale Emilio Po 380, Modena.
UN’ITALIA DIVERSA — Ora sto per varcare la soglia della Disneyland italiana. È questo il luogo, l’indirizzo al quale decine di generazioni di bambini italiani hanno fatto riferimento. È un edificio senza tempo, antico e moderno. Così lo vollero i fratelli Panini, robusti e geniali ragazzi di Modena, che nel 1964 la costruirono. Me li immagino, sorridenti e orgogliosi, il giorno dell’inaugurazione. Era l’Italia che sognava e faceva. I camion che portavano le figurine sfrecciavano sulla neonata autostrada, gli autisti si fermavano ai modernissimi autogrill, la sera si guardava, meraviglia, il secondo canale, e in casa era entrata la lavatrice che, solo dieci anni prima, costava come quattro stipendi di un operaio.
IN PRINCIPIO FU UN’EDICOLA — Gli otto fratelli Panini, equamente distribuiti tra femmine e maschi, dopo la guerra avevano acquistato con i genitori un’ edicola in Piazza Duomo. Allora, al mattino, si faceva la fila al negozio dei giornali per acquistare un quotidiano. I Panini vendevano tanto, ma per sfamare una famiglia di dieci persone ci vuole olio di gomito e testa piena di sogni. Fondarono un’agenzia di distribuzione e poi incontrarono le figurine dell’unica azienda del ramo mai creata e gestita da una donna: l’editrice Nannina. La Nannina iniziò il 2 aprile del 1947 pubblicando, a trenta lire, un giornaletto per “piccoli tifosi”. In copertina c’erano, insieme, le figurine di Ingrid Bergman e di Tazio Nuvolari. I bambini dell’Italia bombardata e divisa non avevano la televisione e internet. Coppi e il Grande Torino erano solo una fantasia desunta dalle parole sapienti dei radiocronisti, dalle immagini di un cinegiornale visto su scomode sedie di legno, dalle foto pubblicate sulla Gazzetta o su Il calcio e il ciclismo illustrato o, ancora, nelle prime tenere moviole affidate alla geniale matita del disegnatore Silva. Le figurine consentivano improvvisamente di possedere quella fantasia, di portare Mazzola e Meazza in casa propria, di giocare con loro e di farli dormire nel cassetto o nella cartella. I Panini capirono che esisteva un mercato per quel sogno. Cominciarono a imbustare le figurine della Nannina e ne vendettero un sacco e allora iniziarono a stamparle in proprio. Per mischiarle le gettavano con un badile contro il muro in modo che si mescolassero bene e poi le raccoglievano e imbustavano. Geni, puri geni. In una foto che li ritrae davanti alle prime macchine di Viale Emilio Po il loro sorriso è lo stesso di quell’Italia solare. E viva, viva di energia produttiva.
COLOSSO MONDIALE — Fabrizio Melegari non è solo il direttore editoriale della Panini. È come Fabio Paratici, un uomo che ha fatto della sua passione il suo lavoro. Collezionista dal 1961, cultore della storia della figurina, geloso conservatore di album e di singoli pezzi oggi è come un goloso che, in una pasticceria, può scegliere cosa produrre. Lui e Antonio Allegra, direttore del marketing e dell’area commerciale, mi raccontano di un’impresa di 1200 dipendenti, con 12 filiali proprietarie e un numero infinito di licenziatari. Per gli ultimi mondiali Panini ha distribuito figurine in 120 Paesi. La direttrice della produzione, Simona Spiaggia, mi mostra la linea di produzione che è arrivata a sfornare, durante i mondiali, 12 milioni di bustine in una giornata. La macchina che imbusta è quella che i Panini idearono, la Fifimatic. Il ciclo è semplice e affascinate, per bimbi e adulti. Si stampa, in tipografie esterne, una “quadrotta”. Foglio che contiene, secondo un rigoroso calcolo statistico, tutte le fotografie di tutti i giocatori in egual misura. Sulla «quadrotta» compaiono già mischiate, non squadra per squadra. Questi fogli vengono tagliati prima per strisce verticali e poi orizzontali in modo da produrre figurine singole che poi passano alla mescola e , successivamente, attraverso un processo che garantisce ulteriore assortimento, all’imbustamento. Mi assicura Allegra che non esiste una programmata lesina di certe figurine, per renderle introvabili: “Oggi non esistono figurine rare. Non si vuole creare un affanno nella collezione”.
ADULTI BAMBINI — E poi esiste sempre il magico indirizzo al quale si possono richiedere le mancanti. Nove milioni di richieste sono arrivate in questi anni, mi dice la signora Marcella de Marzi, “Collectibles customer service and online sales manager”. Una signora gentile che è come Aladino. Ha davanti dei grandi contenitori,che fanno avanzare degli scaffali che contengono, disposte in ordine, le figurine sfuse degli anni, anzi dei decenni, passati. Figurine acquistabili, per gli «impallinati», come qui chiamano i collezionisti maniacali, che dicono essere alcune migliaia. Ma quanti sono oggi i collezionisti degli album dei Calciatori? Sto alle cifre che snocciola Allegra: “I volumi complessivi sono sempre alti. La componente adulta è molto alta, quasi un terzo. Il totale, ogni anno, degli acquirenti è tra 1.200.000 e un milione e mezzo. I bambini cominciano a 4-5 anni e continuano fino alle medie. Poi cominciano a vergognarsi, nel tentativo, tipico di quell’età, di dimostrare un‘età maggiore di quella autentica. Riprendono i giovani adulti che poi diventano padri e utilizzano i figli per continuare la propria esperienza infantile. Un grande non è competitivo con il figlio alla play station, ma lo è certamente con le figurine. E gli stessi nonni…”.
COME A TEATRO — Nella capacità della figurina di resistere alla concorrenza tecnologica c’è qualcosa di straordinario e dunque di poetico. Oggi siamo nel tempo della reperibilità totale delle immagini. Di ogni giocatore in rete si possono trovare fotografi e filmati. La figurina è come il teatro. È un’esperienza fisica che combatte con quella virtuale. È la carnalità di un rapporto che non viene risolto dagli algoritmi. Allegra così descrive la meraviglia del contatto tra acquirente e figurina: “C’è l’effetto sorpresa, il rumore della strappo, l’odore della figurina, a condivisione dello scambio…”. Ma per gli adulti le figurine sono qualcosa di più. Ricordano l’odore della Coccoina e la raccolta delle bisvalide e l’arrivo della cellina biadesiva… Fino a che, nel 1972-73 arrivarono le figurine adesive. Quelli della mia generazione tradivano la Panini solo con le memorabili sagome dei calciatori o dei ciclisti disegnate del Corriere dei Piccoli.
VALORE DI SCAMBIO — Con Melegari si parla della filosofia dell’uso delle figurine. Esisteva una differenza paragonabile a quella di cui gli economisti parlano a proposito del valore d’uso e del valore di scambio. Melegari e io giocavamo con le figurine, ne facevamo un uso tecnico, per allestire squadre impossibili. Melegari non le scambiava, sembrava blasfemo mercanteggiare con un oggetto dotato di grazia interiore. E poi scambiare voleva dire prendersi beffa della fortuna che assegnava la chance di completare la squadra del cuore o l’album. L’unica cosa consentita era rivolgersi all’indirizzo magico e attendere la busta. Panini è sopravvissuta a molte avventure, dopo che i fratelli la cedettero, verso la fine degli anni 80. La acquistò Maxwell, che di quel mercato si intendeva poco. Fu un dramma che si risolse con l’impegno, dopo una parentesi Marvel, del gruppo Merloni e ora, in prima persona, di un gruppo guidato dall’amministratore delegato Sallustro. Oggi Panini è il marchio mondiale delle figurine. Negli Usa ne vende a pacchi agli appassionati di NBA e di NFL.
ERRORI DA COLLEZIONE — Tutto è iniziato con un badile e un sogno. E oggi, 2019, mi sembra fantastico vedere su You Tube due bambini, Tina e Pippo, che raccolgono centinaia di migliaia di visualizzazioni mentre aprono i pacchetti di figurine. Quando i Panini iniziarono, dipingevano i colori delle maglie su foto in bianco e nero. Sbagliavano i soggetti, talvolta. Confusero De Marchi e Zoppelletto del Lanerossi Vicenza, Bui e Franzini del Bologna e Rosato e Scesa del Torino. Quelle figurine sono preziose come i Gronchi rosa. Pizzaballa può valere più di cento euro: non c’era il giorno in cui fecero la foto della squadra e andò in tiratura più tardi. Quasi sessant’anni dopo, spopolano le carte dei calciatori dette Adrenalyn, seguite da 500.000 collezionisti. Sono carte sofisticate. Cose serie, cose da bambini. Melegari e Allegra mi raccontano perché i Panini scelsero la foto di Liedholm per il primo album. Era a fine carriera, non incarnava un emergente. “Lo scelsero perché, per loro, incarnava il modello del giocatore gentiluomo”. Sogno e badile. Strumenti da gentiluomini.