GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Quattrone) – Super ospite della nuova puntata del talk show “Che tempo che fa”, condotto da Fabio Fazio, è la leggenda del calcio Edson Arantes do Nascimento, detto “O Rei”, ossia il grande Pelé. Il più grande di tutti. Il suo compito, fare gol, sempre svolto in maniera semplice, naturale e con genialità. Non a caso, ancora oggi, le reti segnate sono 767 (quelle ufficiali), 831 presenze: in pratica 0,92 goal a partita. L’unico calciatore a vincere 3 Mondiali (1958, 1962 e 1970) con la Nazionale brasiliana.
Non solo in campo, è un super campione anche fuori. Infatti, viene ritenuto Patrimonio storico-sportivo dell’umanità per il Brasile. Inserito nel TIME 100 Heroes & Icons” del XX secolo, Pelé con un cuore grande è stato conferito del titolo di “Cittadino del mondo” dall’Onu dopo aver ha lasciato il calcio nel 1977 ed è diventato ambasciatore UNESCO e UNICEF. Insomma, un grande uomo, in prima linea con la sua Pelé Foundation per diffondere l’istruzione e combattere la povertà.
“Per fare il calciatore, come diceva mio padre, ci vuole fegato, perché è un organo fondamentale per l’essere umano. Se questo non funziona bene, non si può andare avanti. Io ringrazio Dio per tutto questo, c’è chi continua a fermarmi per strada per ringraziarmi di tutto questo, ma sono io che non smetterò mai di farlo.”
Afferma il campione, visibilmente emozionato. “Mio papà era anche un calciatore, l’unica cosa che ho sempre voluto è stata essere come lui e giocare a calcio bene quanto lui. È stato l’unico a fare più gol di testa di Pelè. Uno dei suoi consigli più importanti è stato non pensare di essere migliore degli altri, è stato Dio a darti questa opportunità. Mai avrei immaginato di arrivare a questo punto”.
Ricorda: “Il mio nome in realtà è Edson, infatti quando hanno iniziato a soprannominarmi Pelè mi arrabbiavo e lo ricordavo a tutti. Quando sono arrivato in Svezia per i Mondiali sono rimasto veramente sorpreso, innanzitutto perché non mi aspettavo di essere convocato a 16 anni dalla Nazionale. Poi ero un po’ stranito perché non ero mai uscito dallo stato di San Paolo e mi chiedevo in che Paese mi trovassi in quanto lì non c’erano persone di colore”.
E infine: “Non dimenticherò mai il gol della finale contro la Svezia, ancora oggi penso che Dio mia abbia dato la forza di un adulto per affrontare una situazione del genere a quell’età. Quando scherzo dico sempre che il 10, come voto, una volta non era considerato più di tanto, ma dopo che l’ho indossato è diventato degno di nota. Noi brasiliani abbiamo portato la ginga, un movimento di danza, nel mondo del calcio e in particolare con i dribbling. Ho conosciuti tanti personaggi famosi, presidenti e papi, ma non ce n’è uno che ha prevalso sugli altri: sono stati tutti importanti”.
Dopo il videomessaggio di Rivera e su Maradona: “Lo apprezzo tanto, mi ha sempre elogiato pur giocando come avversari. Ci dovrebbero essere più persone come lui.
Diego è stato come un fratello, scherzavamo sempre su chi fosse il migliore tra noi due: lui affermava di esserlo, ma lo punzecchiavo dicendo di essere io a fare più gol”.