Una passione enorme e uno sfottò che non si placa mai … ma per chi tifa la Capitale d’Italia?
per GLIEROIDELCALCIO.COM Flavio Mecucci
Alla fine dello scorso aprile, una ricerca dell’Università La Sapienza ha creato un ampio dibattito in tutti gli appassionati di calcio romani e non. La ricerca condotta da Filippo Celata, professore di geografia economica alla facoltà di Economia, e Gabriele Pinto, dottorando al dipartimento di scienze sociali ed economiche indagava la demografia e la geografia del tifo a Roma, ovvero rispondeva a due domande molto in voga nella Capitale: Quanti sono a Roma i tifosi della Roma e della Lazio? E quali sono le zone dove prevalgono i romanisti, e quelle a maggiore presenza di laziali?
Fino a quel momento esistevano pochi sondaggi nazionali. Lo studio Grizzani nel primo decennio del nuovo secolo aveva condotto uno studio che aveva portato all’elaborazione di una classifica per percentuali di composizione, su base 100, che presentava un ranking di preferenze e che attestava la Roma tra il 10 ed il 12% di preferenze e la Lazio tra il 4,5 ed il 6%. Ipotesi forse più affidabili sono quelle condotte negli ultimi anni da Demos&Pi che stimava nel totale degli appassionati di calcio, una percentuale del 6-7% romanista ed un 2-3% laziale. StageUp e Ipsos nelle ultime settimane ha azzardato numeri più precisi, stimando in circa 1,8 milioni i tifosi della Roma contro i circa 500mila laziali. Il rapporto sarebbe in entrambi i casi di circa 3-3,5 a 1 per la Roma. Ma, come rilevato dai ricercatori della Sapienza, i suddetti dati sono relativi all’Italia intera, ricavati da sondaggi su campioni molto piccoli. Non è possibile quindi dedurne dati sulla sola città di Roma e tanto meno sui suoi quartieri.
Nella loro ricerca invece, Celata e Pinto, hanno applicato un metodo nuovo, connesso con il concetto dei cosiddetti Big Data, ovvero sono stati usati “gli stessi sistemi di rilevazione che si applicano per le elezioni, prendendo in considerazione i dati su like, click, commenti, ricerche termini degli utenti oltre che l’advertising sui social network“.
Le rilevazioni hanno confermato il rapporto dei sondaggi già noti al grande pubblico, dandoci però uno spaccato puntuale sulla distribuzione delle tifoserie nel territorio comunale e regionale. Dai dati raccolti si evince che nel Comune di Roma il rapporto tra romanisti e laziali sia di circa 3 a 1, mentre se estendiamo il raggio di osservazione a tutta la regione Lazio il rapporto risulta minore: per ogni tifoso laziale ci sono 2,3 romanisti. Nei Comuni del Lazio diversi da Roma il rapporto è ancora minore: per ogni tifoso laziale ci sono i 1,7 romanisti.
Tornando al territorio comunale, Nei quartieri relativamente più giallo-rossi il rapporto arriva fino a 335 romanisti ogni 100 laziali (in generale in tutta l’area centrale della città, dal Celio a Trastevere, da Prati a Testaccio, con percentuali bulgare nei quadranti meridionale e orientale) Nei quartieri relativamente più bianco-azzurri il rapporto è di circa 238 romanisti per ogni 100 laziali (una relativa consistenza laziale si registra in alcuni quartieri periferici come Ciampino, Ostia, Settecamini, Bufalotta, Fidene, Salaria-Serpentara, Labaro e San Basilio). Quindi nonostante una certa narrazione diffusasi nell’ultimo trentennio che voleva una predominanza giallorossa solo nella parte meridionale della città, i dati rilevano che in nessun quartiere di Roma c’è una maggioranza di laziali.
Come era facile intuire, i risultati della ricerca hanno prodotto di conseguenza un codazzo di sfottò: dalla parte romanista il commento più diffuso è stato “I laziali sono in via d’estinzione, diventeranno una specie protetta” mentre la risposta laziale ruotava intorno a un concetto ben preciso: “Meglio la qualità che la quantità, pochi ma buoni” sottolineando infatti come ci siano “più breccole che diamanti“.
Altri però, a seguito della pubblicazione della ricerca, si sono fatti due domande che entrano nel campo della ricerca storica: la prima è, perché a Roma ci sono più romanisti che laziali (visto che la Lazio è nata anche 27 anni prima)? ed inoltre, questo squilibrio di forze è un fenomeno recente o è così da sempre?
Ai primordi del calcio capitolino, come abbiamo raccontato in altre occasioni, Roma aveva ben otto squadre che militavano nel campionato organizzato dalla Lega Sud: Audace (Appia e Tuscolana) e Alba (dal quadrante nord del Flaminio e Trionfale, alle zone orientali dall’Esquilino al Casilino) poi fusesi, Fortitudo (Prati e Borgo Pio) Pro-Roma (Ostiense Piramide) e Juventus (Esquilino) poi fusesi ed infine Roman (del quartiere Parioli) e Lazio (Prati e Parioli),). Fra queste erano ripartite le simpatie dei sostenitori capitolini. Nel 1927 tutte queste squadre, tranne la Lazio, si unirono in un’unica squadra, progettata dalle gerarchie fasciste, per competere con gli squadroni del Nord Italia.
Tale fusione avvenne, tra l’altro, in un periodo nel quale Roma raddoppiò la sua popolazione (da 600.000 abitanti a oltre 1.200.000, dei quali la metà stavano nei ventidue rioni e l’altra metà nei quartieri) attirando appunto le simpatie dei nuovi romani dei quartieri semiperiferici sempre più popolosi come la Garbatella, San Lorenzo, il Tiburtino, il Trionfale, Prati, Borgo e il Testaccio oltre ad ereditare le tifoserie sanguigne e popolaresche dei romani di “sette generazioni” già tifosi di una delle varie squadre che formarono la nuova A.S. Roma. La Lazio, d’altro canto, era sempre stata avulsa da qualsiasi tentativo di fusione con le altre squadre romane e si era sempre caratterizzata per un certo snobismo che le aveva alienato la simpatia degli strati popolari i quali avevano diviso le loro simpatie tra le altre squadre capitoline. A tal riprova, possiamo citare il racconto del primo derby Lazio – Roma, dell’8 dicembre 1929 giocato in casa biancoceleste, allo stadio della Rondinella, che il “Littoriale” raccontò in questi termini: “Sapevamo che a Roma la maggioranza del pubblico volge le sue simpatie ai giallorossi; credevamo tuttavia che anche gli azzurri avessero larga messe di simpatie. Ci siamo dovuti ricredere: i nove-decimi dell’immenso pubblico che ha gremito lo stadio della Rondinella agitavano bandierine giallorosse, incuorando i beniamini! Si può dire obiettivamente che la Lazio ha giocato… in campo avversario”.
Da un confronto con uno dei principali storici del calcio romano, Marco Impiglia, stimiamo che “al momento della nascita della AS Roma, l’Alba era la più popolare squadra della Capitale. Ma la Lazio, per sua antica tradizione e per l’aura di club bene ammanicato e bene frequentato che possedeva, la tallonava da presso”. Alle loro spalle si piazzavano nella classifica delle preferenze, la Fortitudo che aveva un “bacino molto presente a Borgo, rione ad alta densità, abitato dai vecchi romani, e aveva propaggini a nord dal Cuppolone, all’Aurelio dove stava il suo bel campo gestito dai preti”. Le altre compagini presenti in quegli anni si dividevano la quota parte restante dei sostenitori. È ipotizzabile quindi che al momento della nascita della Roma il rapporto fosse di circa 4 romanisti per ogni laziale, anche dovuta “all’abulia quasi incomprensibile dei laziali con nella tasca della giacca la tessera di socio, molto più interessati alle attività escursionistiche e culturali piuttosto che a passare il pomeriggio della domenica a vedere uomini adulti correre dietro a un pallone di cuoio”.
“Negli anni immediatamente successivi alla fondazione” – prosegue Impiglia – “la Roma edificò un campo di proprietà in una zona densamente abitata, e si preoccupò di inaugurare una politica di prossimità psicologica e fisica tra la tifoseria abbonata e il comparto sociale”. La crescita sportiva, e dei sostenitori, si vide già nel 1931 quando arrivò a competere con le grandi squadre del Nord (ricordiamo ad esempio il “5 a 0” inferto alla Juve a Campo Testaccio), fino ad arrivare a vincere lo scudetto nel 1942 (prima squadra non settentrionale a riuscire nell’impresa). La crescita biancoceleste invece fu più incerta e avvenne soprattutto nel secondo dopo guerra (a parte un buon secondo posto nel 1936-37), quando conquistò il primo titolo nazionale (la Coppa Italia del 1958). In contemporanea, la popolazione regionale raddoppiò (dai 2,3 milioni del 1931 a 4,6 milioni del 1971), portando, anche grazie al miglioramento dei mezzi di trasporto pubblici e privati, milizie di tifosi da fuori le mura cittadine a seguire una Lazio in ascesa che vedrà conquistare nel giro di 2-3 anni la Coppa delle Alpi e l’agognato scudetto.
In questo periodo, nonostante il rapporto numerico si attestasse ancora in un 3 a 1, anche grazie all’ascesa di supporter extra capitolini, la tifoseria laziale non concederà un enorme svantaggio di pubblico in confronto ai cugini giallorossi. Infatti nel 1950 la media degli spettatori (abbonati e paganti) ad una partita della Roma si attestava sulle 32.000 unità, mentre la Lazio ne faceva registrare 22.000; E se negli anni ’60 lo scarto si ampliò (37.000 romanisti contro i 22.000 laziali), anche a causa dei primi 4 anni biancocelesti in serie B, negli anni ’70 il divario diminuì sensibilmente (la Roma registrava una media di 45.500 spettatori e la Lazio 39.500). A seguito del decennio infernale per i biancocelesti degli anni ’80, dove la Lazio registrò 6 presenze nella serie cadetta, e di “sogni e di campioni” della Roma (1 scudetto, 4 Coppe Italia ed una finale di Coppa Campioni), dove la differenza di spettatori medi crebbe a vantaggio dei giallorossi (Roma 45.500 vs Lazio 30.500), il rapporto si stabilizzò registrando una discrepanza di qualche migliaio di unità (anni ‘90 Roma 52.500 e Lazio 46.000, anni duemila Roma 46.000 e Lazio 37.000, anni ’10 del nuovo millennio Roma 36.000 e Lazio 30.000). Questo a riprova che nonostante il divario numerico costante e le alterne vicende sportive, il seguito anche da parte biancoceleste rimase perlopiù costante.
Questi numeri e queste riflessioni diventano importanti nell’agone sportivo romano perché come insegna una frase del film il Gladiatore «Il cuore pulsante della città non è il marmo del Senato, ma la sabbia del Colosseo», quindi invertendo i ruoli dei primordi, se oggi i romanisti tronfi della superiorità numerica e di una crescente esaltazione sportiva guardano ai cugini biancocelesti mormorando il celebre “ubi maior, minor cessat”, questi ultimi, imperituri nella loro fede, rispolverano una vecchia citazione di Benigni “Vaffanculo alla maggioranza!”.