La storia della politica argentina si è più volte intrecciata con il mondo del calcio rioplatense. A cominciare dai primi anni del peronismo – la cui svolta industriale si rifletteva nel soprannome del River Plate, «la Máquina» – fino ai più noti e molto spesso raccontati Mondiali del 1978.
Una pagina poco conosciuta del ‘primo peronismo’, invece, è quella che lega la fine della prima avventura politica del controverso presidente argentino con il trionfo dell’Albiceleste nella Copa América del 1957.
Un ‘Cilindro’ per il Racing
Nel 1950 il nuovo governo di Juan Domingo Perón investe tre milioni di pesos per accaparrarsi le simpatie dei calciofili argentini. L’ingente somma è stanziata per costruire il grande stadio «Presidente Perón», futura casa del Racing de Avellaneda, di cui è gran tifoso il ministro delle Finanze Ramon Cereijo. È stato proprio lui a suggerire a Perón il finanziamento dell’opera. Il presidente, così facendo, oltre al nome dello stadio, guadagnerà per sé anche la nomina di presidente onorario del club.
L’anno dopo, direttamente dal Salón Blanco della Casa Rosada, durante un discorso presidenziale, Perón dirà: «Ho pensato sempre a un popolo di sportivi. Perché quando si ha un popolo di sportivi, si ha un popolo di uomini nobili, e di bravi uomini e di uomini con un profondo senso morale della vita. E questi sono gli unici valori che rendono nobili gli uomini e grandi i popoli».
A pranzo con Evita
Effettivamente, la diplomazia sportiva, fin dagli inizi del primo mandato, era stata al centro della sua politica interna. La persona chiamata a incarnare la figura di una sorta di Madonna in carne e ossa è quella della moglie, Eva Duarte, un’ex attrice teatrale che nel corso degli anni avrebbe interpretato al meglio la parte di madre dei diseredati che sacrifica la propria vita spendendosi in innumerevoli opere sociali.
Una di queste, riguarda proprio lo sport. Nel 1948 la maggior parte dei calciatori argentini hanno appena aderito alla Huelga, lo sciopero indetto dal sindacato «Futbolistas Argentinos Agremiados», attraverso il quale sostanzialmente chiedono: il salario minimo garantito e il riconoscimento dello status di professionisti.
Le squadre argentine, per non cedere alla pressione dello sciopero, mandano in campo le giovani riserve. Ma il pubblico è scontento, perché se paga il biglietto vuole vedere i campioni. La protesta dei calciatori diventa dunque un vero e proprio affare di Stato.
A sbrogliare l’intricata questione interviene proprio Evita. I calciatori con lei sono disposti a parlare e a trattare. Si arriva così alla soluzione di un nuovo contratto che prevede un minimo adeguato, ma anche un massimo, di 1500 pesos.
La moglie del presidente ha appena intuito quanto il calcio possa trainare il patriottismo argentino. Coglie quindi la palla al balzo e nel 1948 organizza un torneo nazionale per bambini e adolescenti che accoglierà più di centomila giovani calciatori. Molti ragazzi di strada, per la prima volta in vita loro, hanno l’occasione di godere di visite mediche e di indossare scarpe nuovissime.
Evita viene nominata «Primer deportista d’Argentina», così come Mussolini era stato il «Primo sportivo d’Italia», e da quel momento in poi milioni di tifosi argentini si faranno fotografare intenti a leggere la sua autobiografia La razón de mi vida (La ragione della mia vita), libro che presto diventerà obbligatorio in tutte le scuole del Paese. Evita diventerà talmente famosa, anche fuori dai confini nazionali, che finanche il Quartetto Cetra le dedicherà la canzone A pranzo con Evita.
Don’t cry for me Argentina
Nel luglio del 1952 la leader spirituale della nazione argentina, spegnendosi, passa all’immortalità. Ma, anche se la sua vicenda umana nel corso degli anni ispirerà al celebre compositore inglese Andrew Lloyd Webber il fortunato musical Evita, con la sua morte si palesa inequivocabile la crisi di un sistema politico incentrato unicamente sulla figura del leader, cui ora è venuta a mancare una compagna fondamentale.
Gli argentini per anni hanno tacitamente perdonato parecchie iniquità al presidente Perón, soltanto per devozione umana e spirituale alla moglie. Ma i tempi cambiano in fretta, gli umori della casta militare sono mutevoli e gli interessi politici si ridisegnano in continuazione. Così, nel 1955 un colpo di Stato militare rovescerà il regime di Perón. È l’inizio della cosiddetta «Revolución Libertadora», quella che spaccherà in due il Paese tra peronisti e anti peronisti. L’ormai ex presidente fuggirà prima in Paraguay, poi in Spagna dal suo amico Francisco Franco, mentre anche la Nazionale argentina si appresterà a compiere una rivoluzione.
Gli angeli con la faccia sporca
A traghettare calcisticamente la fine del peronismo è l’allenatore Guillermo Stábile. La sua ‘nuova’ Argentina, in occasione della Copa América del 1957, schiera in campo un trio d’attacco formidabile. Sono tre ragazzotti destinati a essere ricordati per sempre come «Los ángeles de la cara sucia», gli angeli con la faccia sporca. Rispondono ai nomi di Maschio, Angelillo e Sívori. Il famoso titolo cinematografico ne annuncia il carattere insolente, da impuniti.
Antonio Angelillo, di origini lucane, ha aperto le danze nella prima partita contro la Colombia. Nel pirotecnico 8 a 2 ha messo a segno una pregevole doppietta. Alla fine del torneo i gol complessivi saranno otto. L’anno successivo giocherà per l’Inter alla corte di Angelo Moratti. Con il campionato di Serie A a 18 squadre vanta ancora oggi il record di gol in una stagione: 33. Ma la grigia Milano comincerà presto a stargli stretta. I duri metodi di allenamento di Helenio Herrera poco si applicheranno a un giocatore che alle doppie sedute alla Pinetina avrebbe preferito i doppi giri di ballo nei night. Li frequenta molto spesso, e in uno di questi farà la conoscenza piuttosto intima di una navigata ballerina che si faceva chiamare Ilya Lopez, pur essendo nata a Brescia. Il suo vero nome era infatti è Attilia Tironi. Le sue foto alle Baleari in bikini faranno scandalo. Anche per questo motivo, Herrera spingerà per la cessione di Angelillo alla Roma.
Con tre gol alla Colombia e due all’Uruguay (4-0), il capocannoniere Humberto Maschio (nove gol) contribuisce fortemente a tenere a due punti di distanza il Brasile. È il faro del centrocampo argentino, ha una tecnica sopraffina e un’innata capacità di amministrare il gioco. Gli assist che serve ai compagni sono inviti a nozze, su molte palle c’è scritto: basta spingere in porta. E gli altri eseguono. Segna anche tanto, dunque anche il suo futuro non potrà che essere l’Italia.
Il suo aereo atterrerà a Bologna, dal commendator Dall’Ara. Ma sotto la Torre degli Asinelli Maschio sarà solo l’ombra del giocatore che ha incantato durante la Copa del 1957. Come Angelillo, verrà accusato di preferire la notte al giorno, le donne al campo, i tortellini alle vitamine. Ritroverà passione e gioco solo nella fredda Bergamo, con la maglia dell’Atalanta, dove diventerà l’idolo dell’intera città. La Lombardia in un certo senso la sentirà come casa sua, probabilmente in virtù delle lontane origini pavesi. Ciò faceva di lui un oriundo, dunque arruolabile per l’imminente (e sfortunata) trasferta cilena ai Mondiali del 1962.
I gol di Sívori nella Copa del 1957 saranno tre, uno più importante dell’altro. Con precisione chirurgica, ha infilzato nell’ordine: Ecuador, Cile e Perù. Su quasi ogni vittoria dell’Albiceleste c’è la sua firma. Del trio argentino è quello che meglio corrisponde all’identikit di malandrino. Calzettoni arrotolati sulle caviglie e tibie in esposizione come bersaglio. Una sfida nella sfida. Un tipo che irride gli avversari anche dopo averli scartati. Spesso si ferma sulla linea di porta in attesa di un loro disperato ritorno, e poi ecco il colpetto decisivo al pallone che finisce in porta. E per gradire, tunnel a volontà. Il tutto con il piede sinistro, l’unico che usa.
A Torino diranno: il destro lo utilizzava solo per salire sul tram. Diventerà il cocco di Gianni Agnelli, che per averlo nella Juventus riempirà di pesos le casse del River Plate. E la società, grazie a quel denaro, rinnoverà lo stadio. Oggi una curva del ‘Liberti’ porta il suo nome.
Pur correndo a piccoli passi, Sivori risulta imprendibile. Gianni Brera di lui avrebbe detto che era dotato del pase da corrida, ovverosia faceva fare all’avversario la parte del toro. Puro artista, irrequieto, incallito giocatore di poker, pigro e ritardatario. Genio e manigoldo. Non diventerà mai una leggenda perché gli mancherà sempre la vetrina di un Mondiale, ma è stato uno dei più grandi giocatori di ogni tempo.
Il perentorio 3 a 0 al Brasile certifica lo strapotere argentino e fa vincere all’Albiceleste la Copa del 1957. Questa vittoria è il canto del cigno sportivo del regime peronista. In quegli anni gli atleti argentini erano vere e proprie icone capaci di incarnare sentimenti, rivendicazioni e aspettative generali. Dopo la vittoria della Copa, ormai senza più Perón, secondo la volontà dei nuovi comandanti generali giunti al potere l’Argentina avrebbe dovuto modernizzare il proprio pensiero e anche il proprio calcio. Così dalla celebre nuestra, il classico modo di giocare argentino, tutto spettacolo e fantasia, si passerà col tempo a un approccio più pragmatico, che mira solo alla vittoria, il resultadismo. Ma i risultati saranno pessimi.