LALAZIOSIAMONOI.IT – (Francesco Bizzarri) – Una Lazio da Romanzo Criminale: pistole, botte, litigate. Tutto vero. Una Lazio Campione d’Italia con lo scudetto del 1974, il primo vero trionfo dei colori biancocelesti. Due facce della stessa medaglia che si incontrano in un evento imperdibile. Ecco “Pistole e palloni – Una storia anni 70”, di Guy Chiappaventi, con le foto di Marcello Geppetti e Vittorio La Verde alla Dolce Vita Gallery – Via Palermo, 41 Roma (ingresso libero). “Non è la presentazione di un libro, non è una messa cantata. Racconteremo una storia di calcio come non c’è mai stata, un gruppo di outsider con la pistola sotto l’ascella, due spogliatoi come due clan e la rabbia di chi deve cambiare il suo destino”. Tanti gli ospiti che arricchiranno la serata. Gianfranco Spadaccia: amico personale di Pannella, uno dei fondatori del Partito Radicale, finito in galera per difenderne le lotte, era il segretario a quell’epoca. Davide Steccanella: è uno dei migliori avvocati penalisti di Milano ma soprattutto conosce come nessuno in Italia la storia degli anni ’70, cita risultati di partite, morti ammazzati, sequestri di persona, tutti con la stessa competenza. Armando Sommajuolo è il più grande e il più garbato conduttore di tg che abbia incontrato nella mia carriera. Leggerà testi di libri e tratti di sentenze. All’inizio tutti saranno introdotti da Renzo Giannantonio, che è lo speaker ufficiale dell’Olimpico. Altra voce mitica. E per finire, verrà proiettato per la prima volta in Italia, il documentario della trasmissione Informe Robinson per Canal Plus, “La Lazio de las pistolas”. Interviste tutte in italiano. A detta di molti è il più bel documentario che sia mai stato fatto sulla Lazio di Maestrelli.
Il noto giornalista Guy Chiappaventi, curatore dell’evento, in un’intervista ci ha raccontato ancora queste incredibili storie rispondendo ad alcune domande.
Come nasce l’idea di intraprendere un racconto di quella Lazio “pazza, selvaggia e sentimentale”?
È passato così tanto tempo dalla prima uscita del mio libro che quasi non me lo ricordo più. C’era questa storia, la Lazio del ’74, che mischiava gloria e disgrazia, successo e caduta, tutti e due rapidissimi. Un gruppo di outsider, irregolari, cani sciolti che in due anni ribalta la gerarchia del calcio. Una squadra con la fondina della pistola sotto l’ascella, politicizzata, politicamente scorretta. Incarna il suo tempo, gli anni ’70. L’incrocio è stato facile, raccontare quel gruppo di uomini per raccontare un’epoca. Nella primavera ’74, mentre la Lazio vince lo scudetto, si vota il referendum sul divorzio, le Br uccidono per la prima volta e sequestrano a Genova il giudice Sossi, scoppiano bombe in piazza e sui treni. Non si capisce quella Lazio se non si considera il contesto. All’inizio non pensavo a un libro così corale, non avevo intenzione di fare un capitolo per ogni calciatore. Poi più entravo nella storia, più avevo voglia di raccontarlo ed è nata quella struttura.
Di storie se ne sono sentite tante in questi anni tra pistole e litigate dentro lo spogliatoio biancoceleste. Tutto vero?
La Lazio del ’74 è il Romanzo criminale del calcio. “El grupo salvaje”, lo ha chiamato El Pais. Non ho mai sentito la storia di una squadra con due spogliatoi divisi come in una faida familiare, un poligono di tiro nell’albergo dei ritiri, scazzottate da film western con gli avversari al ristorante, riti di iniziazione dei compagni appena arrivati con pistolettate in mezzo alle gambe. Certo che è tutto vero, anzi. Credo che, a quarant’anni di distanza, non sappiamo tutto o qualcosa ce lo siamo perso per strada.
L’episodio più curioso e affascinante?
Se togliamo le pistolettate per spegnere i lampioni o la lampadina dell’abat jour in camera, l’episodio-simbolo è l’intervallo di Lazio-Verona. Io vorrei fare l’allenatore un quarto d’ora nella vita solo per ripeterlo. La Lazio è sotto due a uno con un’autorete di tacco di Oddi. Maestrelli capisce che, se porta i suoi nello spogliatoio, arriverà la tempesta perfetta. Così davanti alla porta dello spogliatoio indica il campo: “Torniamo su”. I calciatori della Lazio si mettono nella loro metà campo, ognuno nella sua posizione, aspettando il ritorno degli avversari. All’inizio il pubblico è disorientato. Poi si carica come una molla. L’Olimpico diventa una bolgia. Quelli della Lazio sembrano leoni alla catena nel Colosseo. Quando il Verona rientra, ha la strada segnata, come un toro nella corrida. In pochi minuti la Lazio rimonta e vince quattro a due.
In quel famoso spogliatoio del 1974, l’anno dello scudetto, chi erano i “più agitati”?
Era uno spogliatoio di caratteri agitati, di personalità forti, tante così tutte insieme probabilmente non ci sono mai state. Petrelli, che era stato alla Roma e lo chiamavano Jesse come il bandito Jesse James, era l’armiere della banda. Anche Martini aveva una passione per le armi e per il paracadutismo. Chinaglia era anarchia pop, un anarchico scolpito nel marmo di Carrara. Non c’erano “acque chete”: Pulici racconta sempre che aveva capito che la situazione era sfuggita di mano quando vide il suo vice, Moriggi, un ragazzo timorato e lavoratore, che si era presentato in ritiro con una pistola come un cannone.
I racconti, la storia stessa, sono tutti leggendari. Progetti futuri? Immagini un film su questi fatti…
Io dovrei un po’ scollarmi da questo racconto. Il libro ha avuto sette edizioni, un successo di molto superiore a quello che potevo soltanto immaginare. Sono passati quasi quindici anni dalla prima uscita e più di quaranta dallo scudetto. Ho accettato di fare questo racconto per immagini, il 1 dicembre (Dolce vita Gallery, via Palermo 41, ore 18, ingresso libero, ndr), perché le foto di Geppetti e di La Verde sono dei capolavori, il ritratto di un’epoca. Molte di queste sono inedite. E poi Marco Geppetti, il figlio di Marcello, mi ha dato carta bianca. Marco è un compagno di lavoro formidabile e anche una persona molto generosa. Abbiamo diverse cose in comune, tra cui la ricerca ognuno del proprio padre. Marcello Geppetti è uno dei più grandi fotografi italiani del 900: capace di cogliere l’attimo nel calcio , è suo lo scatto di Chinaglia col dito puntato contro la Sud, così come nella cronaca. Di farne un film se ne è parlato tanto ma ci sono diversi ostacoli: la Lazio è considerata una squadra di nicchia e poi è brutta, sporca e cattiva nell’immaginario collettivo, non è molto spendibile, certi film, soprattutto in tv, vorrebbero sempre i buoni sentimenti e il lieto fine. Qui il lieto fine non c’è. Muore Maestrelli, muore Re Cecconi, Chinaglia scappa in America. Forse dal mio libro si potrebbe fare una graphic novel e un po’ ci sto pensando, perché è un genere con cui non ho mai avuto a che fare e mi piacerebbe sperimentarlo. Per tutto il resto, cerco l’idea giusta. Faccio il giornalista, l’inviato al telegiornale. Quello resta il mio lavoro: per evadere, visto che più o meno non ci si guadagna nulla, serve un innamoramento. Una cosa su cui buttarsi. Non l’ho ancora trovata. Prima o poi busserà alla porta.