RIVISTACONTRASTI.IT (Roberto Maresca) – Cosa si auguravano gli italiani durante il Capodanno del 1977? C’era chi riponeva la fiducia nel terzo governo Andreotti e chi sperava di trovare un colpevole alla Strage di Piazza Fontana, c’erano le femministe che desideravano una legge moderna sull’aborto e la sinistra indecisa fra condannare le Brigate Rosse o Ordine Nuovo, c’era chi sognava una riapertura di Lotta Continua e chi ne credeva il degno erede il Movimento 77. Fra un brindisi e l’altro, in ogni casa italiana albergava l’auspicio di un nuovo periodo di conquiste sociali, termine mutabile a discrezione del soggetto poiché, considerato il contesto, sarebbe valsa come conquista anche il ritorno alla tranquillità perduta.
Il mondo del calcio non resta isolato, siamo agli albori dei diritti televisivi e della TV a colori, di un campionato spaccato in due dalle grandi potenze torinesi contrapposte alle realtà popolari, legate in quel momento all’ideologia politica. La Serie A degli anni di piombo è la rappresentazione sportiva dell’epoca storica vissuta dal Paese, borghesia e classe operaia messe in campo da squadre che incarnano gli animi della gente, facendo mutare lo sport da intrattenimento evasivo a spettacolo realistico di quegli anni indimenticabili. Di regole rispettate all’epoca ce ne sono davvero poche, l’unica è schierarsi con lealtà dalla parte del potere o da quella degli outsider, per poi passare al livello successivo, ossia la scelta estremista fascista o comunista.
Le bombe alla Banca Nazionale dell’Agricoltura sono ancora senza firma, ed è una delle motivazioni per cui la matrice nera di parecchi gruppi ultras italiani si rafforza, grazie soprattutto al fenomeno “Bande”. Che sia quella di Maestrelli o la Magliana, il Movimento Sociale Italiano e il sentimento fascista collettivo devono molto alle incontrastate padrone della Roma settantina. Chinaglia, Petrelli, Pulici, Martini, Oddi, Wilson, Garlaschelli, D’Amico, Nanni, Frustalupi e Re Cecconi sono gli uomini che consolideranno lo strapotere fascista nella capitale, mediante lo Scudetto del ’74, quello vinto con Giorgio Chinaglia capocannoniere e simpatizzante di Giorgio Almirante, più per la natura ribelle del politico che per i valori.
Francesco Giuseppucci, detto Er Negro, Enrico “Renatino” De Pedis, Maurizio Abbatino noto come Crispino e il Camaleonte Danilo Abbruciati sono invece gli appartenenti all’altra banda, quella della Magliana, formatasi proprio in contemporanea al successo dei biancocelesti. Roma è stata probabilmente una delle poche metropoli italiane a non aver formato un’organizzazione criminale, ragion per cui la scalata al successo della Magliana è stata tanto semplice quanto impetuosa agli occhi dello Stato. “Per cogliere la genesi di questa associazione occorre andare indietro nel tempo, sino all’ultimo scorcio degli anni settanta. A quel tempo, a Roma, si registrò la tendenza degli elementi più rappresentativi della malavita locale a costituirsi in associazione. Sino ad allora, i Romani, dediti ai reati contro il patrimonio, quali furti, rapine ed estorsioni, avevano consentito, di fatto, a elementi stranieri, quali, ad esempio, i Marsigliesi, di gestire gli affari più lucrosi, dal traffico degli stupefacenti ai sequestri di persona. Una volta presa coscienza della forza derivante dal vincolo associativo, fu agevole per i Romani riappropriarsi dei commerci criminali, abbandonando definitivamente il ruolo marginale al quale erano stati relegati in precedenza”.
È la prima ordinanza di rinvio a giudizio sul processo al clan che descrive alla perfezione il percorso non difficoltoso affrontato dai criminali, una tattica violenta volta all’esasperazione dei cittadini già esausti per gli scontri continui fra manifestanti e Forze dell’Ordine. La Magliana prospera grazie anche al consenso popolare, le cosiddette batterie, ossia i gruppi di luogotenenti. Questi rappresentano l’unica garante sicura per i ceti meno abbienti, impauriti dalla confusione politica. Così la banda, nel giro di 12 mesi, partendo dai quartieri periferici, arriva fino ai più stretti legami con Raffaele Cutolo, il più potente boss della Camorra mai esistito. Il sodalizio fra le associazioni frutta soprattutto ai capitolini, che impostano la propria “impresa” sui precetti camorristici attirando l’attenzione dello Stato, impegnato a impedire l’insediamento comunista dopo un preoccupante risultato elettorale; il PCI supera infatti il 30% nel 1976, diventando la massima compagine rossa del blocco occidentale.
È qui che s’intrecciano gli interessi della destra eversiva, lo Stato, e la Banda della Magliana, una trinità oscura capace di segnare il destino d’Italia. L’Operazione Gladio è il cardine da cui parte ogni scambio di favori, un programma militare promosso dalla NATO durante la Guerra Fredda in difesa del dominio capitalista nelle zone sotto l’egemonia americana, un pool di agenti e soldati armati di ricatti e silenti tattiche per destabilizzare le minacce comuniste, ovviamente colluso con i neofascisti i quali restavano l’unica vera forza ostile alla sinistra. La banda ha dei rapporti con i fascisti, lo stesso capo Giuseppucci conservava in casa dischi dei discorsi di Benito Mussolini, ma soprattutto vi era una figura tramite fra la Magliana e i neofascisti romani, il professor Aldo Semerari. Celebre psichiatra forense, agente dei Servizi Segreti e criminologo, conduce varie perizie psichiatriche eclatanti come quella valida alla scarcerazione di Giuseppe Pelosi in occasione del delitto Pasolini.
È la chiave d’uscita dalla galera per gli affiliati alla banda. La legge Scelba varata nel 1948 è ormai superata, la rifondazione del Partito Nazionale Fascista sembra essere seriamente a un passo e non c’è nessuno che possa intromettersi in questa potente spirale, persino Enrico Berlinguer pare aver intuito un minimo di affinità fra i piani alti e l’estrema destra, per questo avvia i trattati del Compromesso Storico con la Democrazia Cristiana. C’è un errore commesso da tute le fazioni coinvolte in quest’enorme losco affare, nessuna ha realmente salvaguardato la sicurezza nazionale, impegnandosi a conservare le gerarchie economiche e politiche del Paese a discapito di vite umane e della condizione sociale generale, in cui ciascuno vive nel pericolo quotidiano.
Che possa essere il colpo di un manganello o quello di una pistola, la collera comune creatasi è il vero movente della prima vittima celebre degli Anni di Piombo, Luciano Re Cecconi. Quello che si auguravano gli italiani per l’arrivo del nuovo 1977 non era di certo risvegliarsi con un lutto nel mondo del calcio. Luciano Re Cecconi deve il proprio cognome a un curioso evento da lui raccontato in un’intervista a Franco Melli:
“Quel Re davanti al mio cognome, è un regalo del re. Vittorio Emanuele II passò per Busto Arsizio e per Nerviano e gradì la buona cucina, l’accoglienza ricevuta. Allora volle beneficiare la gente delle nostre campagna lombarde con un dono simbolico ma indelebile. Così, i Cecconi diventarono pomposamente Re Cecconi”.
Quando esordisce in Serie C col Pro Patria lavora ancora come carrozziere nell’officina del cugino, ma è da subito noto che i suoi polmoni possano compiere un carico di lavoro anomalo per qualsiasi altro calciatore, ed è allora che Tommaso Maestrelli entra indissolubilmente nella vita di Luciano. Il tecnico lo vuole a Foggia per infoltire il centrocampo pugliese in vista della promozione in A, traguardo raggiunto grazie al contributo del duetto che si ripeterà alla Lazio, Tommaso Maestrelli, inguaribile tatticista, e Luciano Re Cecconi, suo fedele destriero. L’exploit di Re Cecconi all’Olimpico va ben oltre gli impensabili traguardi raggiunti, è il bambino del coro in uno spogliatoio duro e sregolato, Crazy Gang romantica che innalzata a icona pop per la sua breve epicità.
Pellicola drammatica da premio Oscar che tocca il fondo durante l’ultima giornata della stagione 75-76, quando Re Cecconi salva la Lazio dalla retrocessione con una prestazione mastodontica in mezzo al campo. Luciano Re Cecconi ha 28 anni, ma non è per niente adatto a sostenere responsabilità pesanti come quella della ricostruzione laziale, in più l’infortunio procuratosi contro il Bologna per un’entrataccia killer di Tazio Roversi gli sta suggerendo di appendere gli scarpini al chiodo. Quella del 18 gennaio 1977 è una serata tranquilla come le altre. Re Cecconi la trascorre con il compagno di squadra Pietro Ghedin e Giorgio Fraticcioli, profumiere.
Il trio bazzica per il quiete quartiere Fleming in procinto di recarsi in una gioielleria del posto. Le versioni su quanto avvenuto nel negozio sono diverse e discostanti fra loro, ufficialmente s’ipotizzò che Re Cecconi avesse simulato una rapina provocando il commerciante Bruno Tabocchini a sparare contro il calciatore per legittima difesa. Di recente, nonostante la ferma posizione degli inquirenti riguardo alla ricostruzione dei fatti dopo l’assoluzione di Tabocchini, Pietro Ghedin ha dichiarato più volte l’assoluta innocenza di Re Cecconi, per l’appunto soggetto distante da simili goliardie. La completa verità sull’omicidio Re Cecconi resterà probabilmente sconosciuta, ma rimarrà visibilmente fra i cruenti apici toccato negli Anni di Piombo.
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