GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Fanini) – Quella che andremo di seguito a rievocare, parafrasando il titolo di una celebre canzone popolare di Liberazione, è la cronaca di alcuni fatti accaduti nel corso del Campionato di Serie C 1945/46, torneo che il Rimini disputò tra le fila del Girone I- Nord e che concluse classificandosi al 6° posto. Con 396 bombardamenti aerei, navali e terrestri subiti e l’82% delle proprie costruzioni lesionate in maniera grave o irrecuperabile, la Rimini che usciva drammaticamente dal secondo conflitto mondiale si presentava come un enorme cumulo di macerie e di devastazioni. Il sacrificio immane pagato in termini di distruzione e di perdite, lasciò il passo ad una progressiva, commossa e laboriosa opera di ricostruzione e la città, cui venne conferito a distanza di alcuni anni con Decreto del Presidente della Repubblica del 16/01/1961 il patrio riconoscimento della Medaglia d’oro al valore civile, diventò fiero simbolo di volontà e di lotta. Fare sport in un contesto ambientale ed emotivo quale quello dell’immediato dopoguerra equivaleva a mettersi alle spalle i drammi del passato e, dopo due anni di sosta forzata dal ’43 al ’45, dare continuità ad una attività agonistica che nelle ultime stagioni aveva visto la locale squadra di calcio militare oramai stabilmente in terza serie. Il primo campionato del dopoguerra si apprestava dunque a partire tra mille difficoltà, tra evidenti carenze di mezzi e con le strutture dello stadio ridotte ai minimi termini, ma anche il pallone ebbe la forza di rinascere dalle rovine. Lo fece sotto la presidenza di Armando Morri, ex portiere del cosiddetto “Rimini dei romani”, successivamente passato a ricoprire cariche dirigenziali in seno alla società, con la guida tecnica dell’allenatore Boni e con la gloria olimpionica locale Romeo Neri come preparatore atletico. Quel torneo si rivelò ben presto alquanto combattuto, con la presenza di numerosissimi e sentiti derby emiliano-romagnoli, quali quelli che vedevano contrapposte ai biancorossi Ravenna, Riccione, Carpi, Lugo, Centese, Imola… Il Rimini seppe mettere in campo una compagine coriacea e agguerrita, accompagnata e sostenuta da una tifoseria numerosa e appassionata, emblema di una popolazione ferita profondamente ma che tentava lentamente di riappropriarsi dei propri “divertimenti” e dei propri rituali, quasi a voler esorcizzare le brutture della guerra. Ma veniamo all’episodio, nel vero senso del termine “esplosivo”, che caratterizzò in maniera indelebile quella rocambolesca stagione. Nel dicembre del ’45, il giorno 16, alla settima giornata di un torneo che sino ad allora si stava profilando estremamente equilibrato, andò in scena al “Polisportivo” lo scontro al vertice tra i biancorossi e il Carpi. Campana, Ballardini, Pesaresi, Cecchini, Fabbri I°, Fabbri II°, Massari, Guacci, Comotti, Biagiotti, Manzelli: questo l’undici di partenza. Al termine di una prima frazione di gioco sostanzialmente combattuta ad armi pari, il risultato era ancorato sullo 0-0; poi sin dai primi minuti della ripresa si registrò una notevole pressione da parte degli uomini di casa nel tentativo di violare la porta avversaria, sul punto di capitolare da un momento all’altro. Proprio al culmine del forcing prodotto dalla squadra riminese, sospinta da un pubblico in ebollizione, accadde invece l’imponderabile. Da un corner a quanto pare inesistente decretato dal Sig. Pennazzi di Bologna a favore degli ospiti, scaturisce un batti e ribatti in area e tra un groviglio di gambe prende forma una beffarda carambola che deposita la palla nella rete difesa da Campana per il più classico degli autogol. La situazione precipita! Pubblico surriscaldato a pressare contro la recinzione e gazzarra in campo, col Rimini che rimane in dieci, penalizzato da una espulsione per le “inevitabili” proteste nei confronti della giacchetta nera. Feriti nell’orgoglio, i Biancorossi moltiplicano gli sforzi e si gettano all’attacco, ma anche in questo caso ogni tentativo di pervenire al pari viene frustrato da una seconda decisione del direttore di gara che non accorda un “gol-fantasma”, col numero uno emiliano che respinge la sfera probabilmente già oltre la linea di porta. È la fine! La rete non regge alla forza d’urto della folla inferocita che si riversa in campo. È letteralmente caccia all’uomo, volano colpi proibiti da tutte le parti; le cronache parlano di circa cinquecento persone entrate sul terreno di gioco costringendo l’arbitro, con le costole fratturate, ad una affannosa ritirata verso gli spogliatoi. L’epilogo. Già da qualche tempo il contingente polacco facente parte della Military Police dell’Ottava Armata (le truppe alleate entrate in città tra il 20 e il 21 settembre del ‘44) aveva fissato la propria base logistica tra le mura del Collegio d’infanzia “Pio Felice”, a ridosso di quella che attualmente è la “curva ovest” dello stadio Neri. Quel giorno i militari che assistettero alla scena dal loro presidio, temendo il peggio, pensarono bene di ristabilire l’ordine con alcune sventagliate di mitra che andarono a fendere l’aria sul “prato della Sartona”. Panico: fine delle ostilità e tutti di corsa a casa, col solo direttore di gara rimasto riverso sul terreno a leccarsi le ferite riportate nel cruento corpo a corpo. Ovviamente l’intera malefatta non passò inosservata alla commissione disciplinare della Lega che nell’occasione usò la mano pesante, comminando la squalifica del campo per un anno, con l’obbligo di disputare le restanti gare casalinghe sul neutro di Rovigo. Solo qualche mese dopo, una revoca dapprima parziale (disputa delle gare interne entro un raggio di 20 km.), quindi totale, permise di far riavvicinare il Rimini al proprio pubblico e di portare a termine quell’incredibile campionato, vinto in maniera altrettanto clamorosa dalla piccola Bondenese, in grado di beffare sul filo di lana tutte le altre ben più accreditate contendenti. Erano anni duri, ma anche sotto le macerie la passione biancorossa pulsava ancora!