Storie di Calcio

Rombo di Tuono… il nostro Dio pagano

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Roberto Morassut) – Per i ragazzi della mia generazione, nati più o meno nei primi anni Sessanta, Gigi Riva è stato un idolo assoluto che varcava la fedeltà ad una squadra, ad una maglia.

Gigi Riva era l’assoluto.

Io sono nato nel 1963, proprio l’anno in cui Riva, si trasferì in Sardegna, al Cagliari dove sarebbe rimasto per tutta la vita.

Egli ha raccontato tante volte la sua vita e le motivazioni che lo hanno indotto a non lasciare l’isola nonostante le tante offerte di club molto più importanti.

 L’episodio più curioso e storicamente più significativo è quello del mancato o finto acquisto da parte dell’Inter di Angelo Moratti.

Si racconta infatti che il Presidente dell’Inter dei trionfi degli anni Sessanta versò al Cagliari 200 milioni di lire a fondo perduto per la semplice opzione sul trasferimento eventuale di Riva all’Inter, prima della storica vittoria dello scudetto da parte del Cagliari.

Il trasferimento non avvenne perché Riva, tifoso interista in gioventù, preferì restare al Cagliari.

Il Cagliari incassò la cospicua cifra dell’opzione senza cedere il suo attaccante.

Si trattò, in realtà, di un finanziamento indiretto al Cagliari da parte di Angelo Moratti il quale aveva lasciato la Presidenza dell’Inter e si apprestava ad entrare nel pacchetto azionario del Cagliari, in difficoltà economica, che si stava trasformando in una Spa.

Moratti e Nino Rovelli – patron del famoso gruppo Sir – entrarono infatti nel Cagliari in concomitanza con la creazione del nuovo impianto petrolchimico di Cagliari-Saras.

Moratti stava lasciando l’Inter per cederlo ad Ivanoe Fraizzoli, re del tessile e delle divise militari.

La vittoria dello scudetto del Cagliari nel 1969-70 fu uno straordinario lancio pubblicitario per l’intera Sardegna e quindi per il nuovo polo petrolifero inaugurato nel 1966.

Questo a dimostrazione dello stretto intreccio che sempre è esistito tra il calcio ed il mondo della finanza e dell’industria.

Questo risvolto nulla toglie alla storia straordinaria di un grande campione come Riva, grande davvero in tutto.

Da ragazzino imparai a colpire di sinistro per imitarlo e mi portavo la palla sul sinistro o azzardavo il colpo al volo col piede meno adatto per sentirmi un po’ Gigi Riva.

Adottai anche il suo numero l’11, essenzialmente per lui.

Riva senza quelle due linee verticali dietro la maglia non era pienamente Riva.

Le rare volte che, in Nazionale, lo abbiamo visto giocare col 9 non ci davano la stessa sensazione di potenza e non gli portarono fortuna, vedi il grave infortunio subito proprio con la maglia azzurra contro il Portogallo nel 1967.

Riva è stato un campione forte e fragile al tempo stesso.

La sua carriera si interruppe a 32 anni per gli infortuni e per i crescenti disturbi muscolari che lo tempestarono tra il 1967 ed il 1976.

Due gravi fratture ad entrambe le gambe nel 1967 e nel 1970, il distacco dell’adduttore alla coscia destra nel 1976 ed una fastidiosa pubalgia che dal 1972 in poi ne limitò le presenze e le prestazioni.

Eppure è enorme e spettacolare l’album dei ricordi delle sue imprese e dei suoi gol.

Numero straordinari in acrobazia, colpi di testa a volo d’angelo e naturalmente i tiri di sinistro, in particolare ad incrociare sul palo opposto, il suo colpo quasi infallibile.

Di questo ultimo particolare numero ricordiamo diversi esemplari: dal 3-2 contro la Germania nella semifinale di Mexico ’70, al 3-1 contro il Messico nel girone eliminatorio dello stesso Mondiale, all’1-0 contro la Jugoslavia nella seconda finale dell’europeo del 1968 dove giocò con la maglia numero 17.

E poi i colpi in acrobazia, il più incredibile dei quali lo mise in scena il 18 gennaio del 1970 contro il Lane Rossi Vicenza.

Una discesa di Brugnera sulla sinistra ed il cross verso l’area, Riva viene scavalcato e si trova di spalle alla porta, poco dietro di lui arriva Domenghini che gli offre un ponte di testa assai difficile da raccogliere ma lui ci arriva con una torsione da tuffatore professionista.

Arriva in rovesciata con il sinistro ad una altezza impossibile e la mette sotto la traversa.

Credo che questo gol sia uno dei monumenti assoluti del calcio, un gesto stilisticamente e tecnicamente perfetto, irripetibile, impensabile, qualcosa di sovrannaturale forse paragonabile per la sorprendente fattura a pochi altri gol tra cui quello famosissimo di Johann Cruijff nel 1973 contro l’Atletico Madrid in spaccata o quello di Slatan Ibrahimovic in Svezia-Inghilterra del 2014.

Riva ha accompagnato un pezzo della nostra vita.

Un uomo ed un campione che ha fatto il calcio italiano.

Un isolano lombardo che si è adattato alla Sardegna perché, come lui stesso raccontò, la provincia di Varese da cui proveniva non era un luogo meno isolato e meno chiuso.

Riva è un figlio della guerra, fa parte di quella generazione di calciatori italiani, nati sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale e che riportarono il calcio italiano ai vertici mondiali dopo il trauma di Superga che ci privò di fatto per quindici anni delle prime file calcistiche relegandoci tra le comprimarie del calcio mondiale per tutti gli anni Cinquanta ed i primi anni Sessanta.

Gianni Brera lo soprannominò Rombo di Tuono quasi ad evocare una divinità pagana, una forza della natura davanti alla quale l’uomo semplice resta attonito e stupefatto.

Quelle gambe magre e muscolose, forti eppure fragili, la potenza e la leggerezza dei gesti tecnici danno a Riva un tocco divino.

Sapeva esplodere nel tiro a terra e volare con levità nel cielo per intercettare il pallone nei punti più incredibili come in quel tuffo a volo d’angelo di esatti 50 anni fa, il 22 novembre del 1969, nelle qualificazioni mondiali contro la Germania Est, al San Paolo di Napoli.

Forse solo chi ha dovuto affrontare una vita ed una infanzia dura può avere il coraggio di tentare l’impossibile, di credere nell’impossibile, nella vita come nel calcio.

Riva non metteva le mani sui fianchi quando posava per una fotografia o quando, al termine di un’azione, si rammaricava per un’occasione mancata.

Metteva le mani all’altezza delle cosce, dell’anca.

Un gesto imitatissimo da noi ragazzini nelle nostre partitelle di quartiere che si giocavano sui marciapiedi di periferia non ancora troppo invasi dalle automobili.

L’abbandono del calcio giocato avvenne troppo presto e fu triste.

In un Cagliari Milan del 1976, quando gli isolani tornarono malinconicamente in B, Riva subì il distacco dell’adduttore della coscia destra inseguendo un pallone spalla a spalla con Aldo Bet.

Aprì le braccia sotto la tribuna come un Cristo crocefisso.

Fu intervistato negli spogliatoi dalla Domenica sportiva e disse: “se potrò ancora dire la mia, io ci riprovo…ma sono cose che succedono, vorrei non si facesse un dramma…”

La voce ed il volto sofferente e commosso di quella intervista rendono un sentimento di incredibile tenerezza.

Riva non tornò a giocare ma ha continuato a dire la sua con il suo esempio che si è trasmesso di generazione in generazione e che meriterebbe, in questo tempo di aridità ed opportunismo in ogni settore della vita pubblica, di essere posto ad esempio di una sana idea di sport e di Nazione.

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