La Penna degli Altri

Rozzoni e la storia dell’Orlando furioso

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SSLAZIOFANS.IT (Stefano Greco) – Il nome di Orlando Rozzoni non è scritto a caratteri cubitali nei libri di storia della Lazio, perché aveva né classe di Tozzi né la vena realizzativa di Piola, né la velocità di Selmosson né fiuto del gol di Puccinelli, ma grazie al suo coraggio e alla sua completa dedizione alla causa biancoceleste (al punto di sacrificare un ginocchio e la carriera per segnare un gol importante) si è conquistato un posto in primo piano nel cuore dei tifosi della Lazio.

Nato a Treviglio, in provincia di Bergamo, il 23 luglio del 1937, come tanti ragazzi inizia a giocare a calcio nella squadra del suo paesino, la Trevigliese. Un osservatore lo nota e lo porta all’Atalanta, che a meno di 18 anni lo fa esordire in serie A. Nella stagione ’55-’56, questo ragazzone dal fisico da gladiatore e dal cuore grande, gioca 20 partite e segna 4 gol, decisivi per salvare l’Atalanta dalla retrocessione. L’exploit, gli vale la chiamata da parte della Fiorentina neo-campione d’Italia che sotto la guida di Bernardini si appresta a disputare la Coppa dei Campioni. “Fuffo” è talmente colpito dalle doti di questo ragazzone bergamasco, al punto da lanciarlo nella mischia nella partita d’esordio. Il 26 novembre del 1956, la Fiorentina ospita al “Franchi” gli svedesi del Norrkoeping e al centro dell’attacco viole c’è Orlando Rozzoni, al fianco di campioni come  Sarti, Chiappella, Taccola, Montuori, Julinho e Bizzarri. E’ l’unica apparizione in Coppa dei Campioni, ma anche grazie al piccolo apporto di Rozzoni la squadra di Bernardini raggiunge la finale, sconfitta il 30 maggio del 1957 a Madrid solo dal grande Real di Kopa, Di Stefano e Gento. In quella stagione, Rozzoni gioca anche 9 partite in campionato segnando 3 reti. Passa alla Spal, dove con 9 reti risulta decisivo per la salvezza della squadra emiliana in due stagioni consecutive.

Fulvio Bernardini, approdato sulla panchina della Lazio, convince i dirigenti a prelevare dalla Fiorentina (dopo Bizzarri e Prini, arrivati la stagione precedente)  quel ragazzone bergamasco che aveva fatto esordire in Coppa dei Campioni a soli 18 anni e mezzo. E Rozzoni ripaga in pieno la fiducia del suo “maestro”, risultando a fine stagione (nonostante la presenza di campioni come Tozzi, Bizzarri e Prini) il capocannoniere della Lazio. L’11 ottobre del 1959, allo stadio Flaminio la Lazio affronta il Vicenza e Bernardini decide che è arrivato il momento di lanciare nella mischia Orlando Rozzoni: e il ragazzo ripaga in pieno la fiducia del suo allenatore. Con due reti nel giro di 20 minuti, stende il Vicenza e, alla vigilia del derby, consente alla Lazio si salire in vetta alla classifica. Così, sulle colonne de “Il Corriere dello Sport”,  Giuseppe Melillo racconta ai suoi lettori l’esordio di Rozzoni.

“E ora, largo al mattatore della giornata, Orlando Rozzoni. Il neo laziale non ha furoreggiato né in tema di smistamento né in tema di alacrità lavorativa, ma innegabilmente ha offerto un contributo determinante ai fini del risultato! Rozzoni può avere peccato di precisione, ma per risolutezza, praticità e coraggio non può temere neppure la concorrenza prestigiosa di Humberto Tozzi. Bellissimo per intuito e semplicità, il suo primo gol, altrettanto immediato e perentorio il secondo: due reti di forza, da gladiatore dell’area avversaria”.

Ancora più entusiastico il commento su “Il Tifone”, giornale satirico-sportivo fondato da Giuseppe Colalucci.

“A parte la classe, Rozzoni ci ha ricordato Piola. In quella stessa porta dello Stadio Torino  (vecchio nome del Flaminio, ndr) l’indimenticabile Silvio ottenne tanti gol con lo slancio, la prontezza, la prepotenza che hanno consentito al neo attaccante laziale di spezzare il massiccio sbarramento difensivo vicentino”.

L’avventura laziale di Orlando Rozzoni, quindi, inizia nel migliore dei modi. I tifosi sanno che Rozzoni non è un secondo Piola, ma capiscono fin dall’inizio che devono contare sulla forza e la tenacia di questo ragazzo per sperare in una stagione tranquilla. Ben presto, infatti, la Lazio precipita, trascinata in fondo alla classifica dalla guerra intestina tra dirigenti per il controllo della società e dai problemi fisici di Humberto Tozzi, fischiato a più riprese e poi allontanato per indisciplina dalla società. Bernardini consegna a Rozzoni le chiavi dell’attacco e “l’Orlando furioso”, come lo ribattezzano i tifosi laziali, firma con una doppietta la vittoria con la Spal (3-1 il 1 maggio 1960), segna il gol del 2-0 nella vittoriosa trasferta contro il Genoa (4-2) e poi realizza due reti della vittoria con il Padova (2-0) che il 29 maggio del 1960 garantisce alla Lazio la certezza matematica della salvezza. I 13 gol realizzati in 25 partite a 22 anni nella sua prima stagione da titolare, sono un bottino incredibile per Orlando Rozzoni, soprattutto se paragonati ai miseri 2 gol segnati da Prini e Tozzi o ai 4 gol realizzati da Bizzarri, giocatori che guadagnano cifre che il giovane attaccante bergamasco neanche si sogna.

Ma Orlando Rozzoni, da solo non può fare miracoli. Il disastro evitato l’anno prima sul filo di lana, si compie la stagione successiva. Nonostante le 11 reti di Rozzoni, la Lazio chiude mestamente il campionato all’ultimo posto in classifica e retrocede per la prima volta nella storia in Serie B. In quella stagione a dir poco deludente, gli unici due acuti portano in entrambi i casi la firma di Rozzoni.

Alla terza giornata del girone di ritorno, ultima in classifica e oramai virtualmente retrocessa, la Lazio va a vincere per 5-2 in casa del Napoli, condannando di fatto anche i partenopei alla serie B. Due di quelle cinque reti, portano la firma di Orlando Rozzoni, celebrato così il giorno dopo da Alberto Marchesi.

“Rozzoni ha giocato una partita alla Piola, ogni volta che la palla è entrata in suo possesso ha seminato il terrore nella metà campo napoletana, ora aprendo sulle ali, ora puntando come un carro armato ‘sherman’  nel cuore dello schieramento avversario, ora fulminando con i suoi tiri lo specchio della porta difesa da Bugatti: un autentico asso”.

La seconda impresa, è quella che lo fa entrare definitivamente nel cuore dei tifosi laziali. Il 19 marzo del 1961 va in scena il derby. In città, nessuno ha dubbi sull’esito della partita, considerando che la Lazio è reduce da tre sconfitte consecutive e da un umiliante 7-0 a San Siro con l’Inter. Dopo la vittoria per 4-0 dell’andata in casa della Lazio, le uniche scommesse in città sono sul numero di gol che realizzeranno Manfredini e compagni ai derelitti “cugini”. Orlando Rozzoni, però, si diverte a riscrivere il finale di questo derby che sembra scontato dopo il gol del vantaggio realizzato dopo appena 17’ da Giuliano. Mentre tutti si apprestano ad assistere ad una storica goleada, Rozzoni aggancia al volo una punizione di Corradori e scarica con tutta la forza che ha in corpo il pallone in rete: 1-1. Passano appena quattro minuti e Rozzoni concede il bis: su un calcio d’angolo battuto da Giancarlo Morrone, l’Orlando Furioso irrompe di testa e batte per la seconda volta Panetti.

Rozzoni  vuole restare per riportare subito la squadra in serie A, ma la Lazio è travolta dalla crisi economica e lo deve sacrificare sull’altare del bilancio: per 115 milioni di lire (la stessa cifra offerta pochi anni prima dall’Inter per il cartellino di Selmosson) passa all’Udinese, ma l’esilio dura un solo anno. Segna 8 gol in 21 partite in Friuli e torna alla Lazio, in serie B. Segna uno storico poker il 25 novembre del 1962 al Foggia, ma paga a caro prezzo il suo attaccamento alla Lazio. Il 16 marzo del 1963, per segnare a tutti i costi il gol del vantaggio in casa del Como, sullo slancio si scontra violentemente con il portiere lariano Geotti e ci rimette un ginocchio. Dopo 10 gol segnati in appena 18 partite, la sua stagione è chiusa.  A dire il vero, quell’infortunio segna addirittura la fine della sua promettente carriera, perché a quei tempi una rottura dei legamenti è considerata un’invalidità permanente. L’anno successivo, tormentato dai dolori al ginocchio, riesce a giocare solo 15 spezzoni di partita segnando appena 2 gol: nella vittoriosa trasferta di Messina e nell’indimenticabile derby del 23 febbraio del 1964.

La Lazio, per consentirgli di avere maggiore spazio e di recuperare lo cede al Catania che, grazie all’apporto di Rozzoni (segna 6 gol in 13 partite), conquista uno storico ottavo posto in classifica. Mannucci lo riporta subito alla Lazio, ma oramai Rozzoni è solo l’ombra dell’Orlando Furioso che aveva fatto innamorare i tifosi biancocelesti. Segna un solo gol nel campionato successivo, il 24 aprile del 1966: è l’ultimo acuto con la maglia della Lazio. A fine stagione, dopo 100 presenze e 41 reti segnate con la maglia biancoceleste, lascia per sempre la Capitale. Va a chiudere la carriera a Ferrara, nella Spal, facendo il percorso inverso fatto una decina d’anni prima. Coccolato da Paolo Mazza, l’allenatore che lo ha lanciato, chiude in modo onorevole con altre 9 reti in 32 partite. Poi, alla vigilia degli anni Settanta, inizia la carriera da allenatore, ma senza grande fortuna. Le esperienze migliori le vive sulle panchine del Montevarchi e del Pergocrema. Poi si ritira definitivamente nella sua Treviglio. Rozzoni muore la sera del 7 agosto del 2009, ma la notizia viene divulgata solo il giorno dopo, quando la sua Lazio scende in campo e vince la Supercoppa a Pechino contro l’Inter destinata a realizzare il triplete.

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