L’arrivo di Ruud Gullit al Milan
Ruud Gullit è stato il primo grande acquisto del Milan di Berlusconi. Madre di Amsterdam e padre surinamese, a San Siro ha rappresentato un armonico amalgama tra il brio latinoamericano e l’efficienza olandese. Una miscela letale per le difese avversarie italiane ed europee, simbolo (insieme a Frank Rijkaard) della «generazione Paramaribo» olandese, figlia del retaggio coloniale con il Suriname. Nel 1987, il suo passaggio dal Psv Eindhoven al Milan rappresentò uno spartiacque nella storia del calciomercato europeo, ma anche per il futuro rossonero.
Milano da bere
Nel luglio del 1985 all’ippodromo di Milano, nei pressi del quartiere San Siro, la nota azienda di abbigliamento Trussardi organizzò una grande sfilata per pubblicizzare le nuova linea prêt-à-porter per donne e uomini. Decine di modelle si susseguirono con diversi abiti e con al guinzaglio dei levrieri, sul prato destinato originariamente al galoppo dei cavalli. Dal cielo, poi, atterrarono due elicotteri con dentro altri protagonisti del lussuoso défilé, tra cui l’attore Philippe Leroy che decise anche di lanciarsi con il paracadute, sua grande passione giovanile.
Un anno dopo, a pochi chilometri di distanza, all’Arena civica planavano altri tre elicotteri, con dentro stavolta i nuovi acquisti del Milan. L’arrivo in volo dei calciatori rossoneri fu accompagnato dalla Cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner, diffusa a tutto volume dalle casse dell’impianto sportivo. Un ingresso spettacolare ideato dal nuovo proprietario della squadra milanista: Silvio Berlusconi.
Quella che all’epoca, comprensibilmente, molti giornalisti bollarono come una «pagliacciata», in realtà attingeva a piene mani dall’immaginario cinematografico (Apocalypse now) e dal sempre più rutilante mondo della moda italiana. L’evento che, sotto certi aspetti, può essere considerato come uno dei principali frammenti per la costruzione mediatica, culturale e politica del «berlusconismo», s’inseriva perfettamente all’interno di una favorevole contingenza economica che stava inebriando il Paese.
Il secondo boom italiano, sotto certi aspetti, risultò ancor più miracoloso del primo, tanto da aver generato nell’immaginario collettivo dello stivale una diffusa percezione di benessere, riassunta con estrema compiutezza dalla proverbiale espressione «Milano da bere».
Lo slogan promozionale, nato dall’inventiva del pubblicitario Marco Mignani per la campagna del centenario Amaro Ramazzotti, dipingeva alla perfezione lo spirito godereccio che aleggiava in special modo attorno alla cosiddetta «capitale morale» d’Italia. In quella «Milano da vivere, da sognare, da godere…», imperversavano da tempo i tanto rinomati yuppies, quei giovani di successo dediti principalmente all’ostentazione della loro vita professionale e del proprio aspetto esteriore.
Colpo grosso
A impersonificare al meglio il connubio tra i mondi dell’imprenditoria, dello spettacolo e dello sport fu, senza alcun dubbio, Silvio Berlusconi. A cominciare dalla succitata presentazione della squadra in elicottero, il presidente del Milan riuscì meglio di chiunque altro a trasformare il calcio italiano in un evento mediatico in grado di attirare investimenti pubblicitari miliardari.
Alla irrefrenabile fretta di vincere del Cavaliere si accompagnarono un indiscutibile fiuto per gli affari e un enorme dispiego di risorse economiche, adoperate al meglio dal suo più fido collaboratore, Adriano Galliani. L’ex proprietario di una piccola azienda monzese di antenne televisive, da anni inseparabile socio di minoranza nonché fra i massimi dirigenti Fininvest, aveva tra i tanti compiti quello di suggerire a Berlusconi i migliori acquisti da effettuare sul mercato calcistico europeo. Nei primi fortunati anni di collaborazione, i tre più rilevanti si concretizzarono tutti in Olanda.
I Paesi Bassi, d’altronde, si erano da poco riaffacciati sulla ribalta continentale con i graditi ritorni all’Ajax di Johan Cruijff, nella nuova veste di allenatore, e di Rinus Michels sulla panchina della Nazionale. I derivanti successi europei nel biennio 1987-88 avevano suggerito il primo colpo di mercato del Milan, Ruud Gullit.
Il tulipano nero
Prima che arrivasse a Milano, sul talentuoso attaccante aveva già posato gli occhi la Juventus di Agnelli, ma come lo stesso «Avvocato» avrebbe poi confidato in un’intervista a Mario Sconcerti, non poté concludere l’affare perché la Philips era nel suo consiglio di amministrazione. Al contrario, Berlusconi non si era fatto troppi scrupoli quando aveva avviato la trattativa direttamente con il calciatore, anziché passare prima dalla società. «Non si fa così, non è bello», avrebbe dichiarato Agnelli. Il giornalista Giuseppe Pastore, nel suo libro Il Milan col sole in tasca, a tal proposito riporta la chiosa del presidente dei bianconeri: «Berlusconi non si è comportato bene. Alla Juventus cose del genere non le abbiamo mai fatte. Ma se la Juventus, comportandosi come si comporta, perde giocatori che magari le interessano, mi domando chi alla fine abbia ragione».
Quando il nuovo numero 10 del Milan si svestì della casacca del Psv Eindhoven, per indossare quella rossonera, la televisione di Stato in Olanda ne diede il triste annuncio in diretta. Nonostante ciò, il suo oneroso acquisto avrebbe poi permesso agli olandesi di costruire una seconda tribuna nello stadio intitolato alla memoria di Frederik Philips, fondatore dell’omonima azienda di elettronica, e riconosciuto da Israele come «Giusto tra le Nazioni» per aver salvato la vita ad oltre trecento ebrei durante l’occupazione nazista della città.
Gullit, soprannominato il «Tulipano nero», e nel frattempo insignito del Pallone d’Oro, si presentò in Italia come alfiere dell’antirazzismo e nemico giurato dell’apartheid ancora in corso in Sudafrica. In più, era anche il cantante di un colorito gruppo musicale reggae, i Revelation Time, a cui venne concessa la possibilità di esibirsi in un concerto solidale nella neonata struttura del PalaTrussardi, dove il giorno dell’inaugurazione aveva addirittura cantato Frank Sinatra. Gullit, che aveva dedicato il Pallone d’Oro a Nelson Mandela, cantò diverse canzoni, tra cui Gimme Hope Jo’anna del cantante guyanese Eddy Grant, simbolo musicale antisegregazionista per eccellenza, a cominciare dal titolo che citava la città di Johannesburg e il suo malfamato ghetto di Soweto.
Quando esordì sui campi italiani, i difensori avversari apparvero completamente impreparati alla sua corsa impetuosa e alla sua tecnica caraibica. Dotato di un fisico imponente, abbinato a una sfolgorante forza muscolare oltre che a un’inconfondibile chioma tempestata di treccine, Gullit fu il vero simbolo della differenza rivoluzionaria del Milan di Berlusconi.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Gallo)