GLIEROIDELCALCIO.COM (Anna Belloni) – “Si è spento il sole e chi l’ha spento sei tu …” cantava Celentano in una sua famosissima canzone.
Vicenza si è svegliata nel buio …. attonita e smarrita alla terribile notizia della morte del suo amatissimo Pablito.
Noi vicentini non lo vedremo più nel piazzale dello stadio prima di qualche partita del Lanerossi, a tifare e a rilasciare benauguranti interviste. Non ascolteremo più i suoi arguti commenti tecnici in TV durante le telecronache della Nazionale Italiana.
È difficile spiegare a parole il legame tra la città di Vicenza, i vicentini e Paolo Rossi
Una città provinciale, chiusa e un po’ bigotta che amava il bel calcio. Il Romeo Menti era la bomboniera del Lanerossi Vicenza, un piccolo gioiello che tutti ci invidiavano perché permetteva il contatto quasi diretto con il campo. Dagli spalti durante le partite si riusciva persino a sentire il profumo dell’erba calpestata, il rumore dei tacchetti piantati in un polpaccio, le urla dei giocatori in campo.
A Vicenza non si andava a vedere la partita, si diceva e si dice ancora “vado allo stadio”, come a un’appendice di casa propria.
Chi non ci è stato almeno una volta non può capire.
Pubblico esigente quello vicentino, che pretendeva di vedere sempre il bel gioco. Uno stadio che incuteva timore egli avversari, come disse una volta Gianni Rivera “il Menti è il campo che temo di più in Italia”. Una squadra che usciva dal campo sempre a testa alta, fosse a San Siro, all’Olimpico o al San Paolo.
L’amore tra la città e il suo bomber sboccia nell’autunno del 1976, con il primo gol in Coppa Italia segnato al Cagliari. Da quel giorno Vicenza e Paolo Rossi diventano una cosa sola. Un binomio talmente radicato e indissolubile che per tutti, ovunque andasse nel mondo, era nato a Vicenza.
Un amore che ci ha fatto sognare e cantare, quando tornavo a piedi dalla partita incontravo tante persone che mi chiedevano cosa avesse fatto il Vicenza. Erano signore con i mariti allo stadio, persone anziane, bambini …. e che gioia incommensurabile era poter rispondere “ABBIAMO VINTO”.
Questo ha fatto Paolo Rossi, ha regalato alla città l’orgoglio dei suoi colori e la gioia di poterlo esternare. Perché fino a quel momento se dicevi che tifavi Lanerossi Vicenza ti chiedevano sempre “Sì, ma per che squadra vera?”
Giambattista Fabbri ci aveva visto lungo, lo aveva plasmato come un pezzo di cera spostandolo dall’ala destra al centro dell’attacco, dove avrebbe espresso al meglio il suo potenziale di velocità, di furbizia, di visione di gioco senza palla e soprattutto la capacità di saper sfruttare ogni più piccolo errore della difesa avversaria.
Lui così esile e così fragile era diventato un gigante. Nel Vicenza come in Nazionale. E quel pallone d’oro lo sentivano anche un po’ nostro.
Ci eravamo abituati bene, a viverlo con orgoglio come una presenza quotidiana, familiare.
Paolo ha vissuto trentatré anni nella nostra città, socio in affari dell’amico fraterno Giancarlo Salvi, poi l’amore lo aveva portato a trasferirsi a Perugia.
Nel 2018 Renzo Rosso lo chiama al suo fianco per ricoprire il ruolo di ambasciatore della società negli eventi istituzionali e sociali e come membro del Consiglio di Amministrazione in qualità di Consigliere Indipendente. Paolo è’ tornato spesso nella sua città di adozione per presenziare alle riunioni societarie, partecipare agli eventi del Club Giancarlo Salvi di cui era Presidente Onorario, per assistere alle partite del suo amato Lanerossi Vicenza.
Magari tutti i campioni dello sport fossero come lui. Nonostante fosse arrivato a una notorietà planetaria e il suo nome conosciuto anche nei paesi più sperduti del mondo, Paolo aveva saputo mantenersi quello che era, una persona semplice e spontanea, gentile e sempre disponibile. Penso a certi calciatori che si sentono così importanti da dover uscire dal campo di allenamento con costosissime auto munite di vetri oscurati o scortati da un bodyguard, sempre comunque lontani anni luce dai tifosi.
Paolo era arrivato a Vicenza nell’estate del 1976 con la sua A112 e non era riuscito a raggiungere il Menti perché nessuno sapeva dirgli dov’era Via Schio, l’indirizzo ufficiale della società. Girava volentieri per la città a piedi o in bicicletta. A tutti regalava un sorriso, una battuta, una foto o un autografo. Nessuna barriera a difesa della privacy per lui, a Vicenza si sentiva a casa e noi vicentini lo abbiamo sempre trattato come uno di noi, il classico ragazzo perbene della porta accanto.
A febbraio di quest’anno gli era stata conferita la Cittadinanza onoraria ed era così diventato un “magnagati” a tutti gli effetti, come amava definirsi con la sua sottile ironia.
Ecco perché, per suo esplicito desiderio, il funerale di Paolo è stato celebrato oggi nella sua Vicenza.