Sinisa Mihajlovic
Quando la vita ci presenta il conto portandosi via qualche persona cara o conosciuta, è sempre un duro colpo. Non fa distinzioni la Grande Mietitrice, lasciando sempre dolore e lacrime. Questo vale soprattutto quando la morte colpisce qualcuno ancora giovane, quando non arriva alla fine del ciclo naturale della vita.
E ancora più sgomenti lascia quando colpisce uno sportivo. Sempre noi immaginiamo questi come eroi, esseri quasi soprannaturali, che mai possono essere colpiti dalle umane traversie, ma quando avviene il fato ci ricorda proprio questo, che non esistono eroi, ma solo uomini. Era un uomo, Sinisa Mihailovic, certo, ma un uomo coraggioso, temprato alla vita ancora giovanissimo: è poco più che ventenne quando scoppia la Guerra dei Balcani che vedrà lo smembramento della Jugoslavia e il ritorno all’indipendenza della sua amata Serbia, anche se lui si sentiva pure croato, essendo croata la madre. Importante la sua carriera di calciatore, fondata tutta sulla sua forza caratteriale e sul suo sinistro, che divenne leggendario e oggetto anche di studio fin da giovanissimo, e che contribuì ai successi della Stella Rossa, prima squadra dell’Est europeo a vincere una Coppa dei Campioni (1991).
Dopo questo successo, nel 1992 arriva in Italia e non la lascerà più, diventando la sua seconda patria. Inizia a giocare nella Roma, ma è alla Sampdoria che si afferma e nell’altra squadra capitolina, la Lazio, che si consacra. Qui vince uno scudetto memorabile dopo aver rimontato la Juventus, nella stagione 1999/2000, sempre con i colori biancazzurri bissa un successo internazionale, non la Coppa dalla Grandi Orecchie, ma l’ultima Coppa delle Coppe della storia, vincendo due a uno contro il Maiorca a Birmingham nel 1999. L’ultimo acuto della sua carriera agonistica lo emise all’Inter quando, pur da comprimario, vinse lo scudetto nella stagione 2005/2006. Appese le fatidiche scarpette al chiodo, Mihajlovic intraprese una intensa carriera da allenatore, che lo portò in giro per l’Italia e con una puntatina anche in Europa, seppur non fortunata.
Il suo viaggio in panchina compie un cerchio perfetto, iniziando con il Bologna nel 2008 e terminando sempre sulla panchina dei felsinei in questa stagione, passando per Catania, Fiorentina, Torino, Sampdoria, Milan, sempre lasciando il segno. Grazie al suo carattere forte e scevro da compromessi, carismatico, egli ha sempre saputo fare presa sui ragazzi che allenava, non ha raggiunto grandi risultati, ma salvezze difficili in piazze complicate, che spesso sono equivalse alla vittoria di un campionato.
Proprio il suo carattere al limite della rudezza qualche volta lo ha portato sopra le righe, con squalifiche da giocatore e anche da allenatore, ma sempre si è assunto le sue responsabilità, mai ha cercato sotterfugi e compromessi. Una schiettezza che lo ha fatto amare dai suoi giocatori, come dimostrato anche in questo periodo della malattia, iniziato tre anni fa e ora, purtroppo, concluso.
Una professionalità esemplare ed un amore per il calcio senza confini, sempre in panchina anche in questo periodo di sofferenza fisica, sofferenza che traspariva tutta nelle ultime inquadrature televisive, quando si vedeva l’uomo ormai sfinito, che non riusciva più a guidare i suoi ragazzi con il consueto impeto, ma sempre con lo sguardo fiero e diretto. Un leone che ci lascia…
GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli)