Stanley Matthews: dribblare a cinquant’anni
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Stanley Matthews: dribblare a cinquant’anni

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Stanley Matthews: dribblare a cinquant’anni

Cosa occorre per diventare una leggenda dello sport?

Quali caratteristiche deve avere un giocatore di calcio per essere definito tale?

La domanda è meno banale di quanto sembri e più complessa nelle risposte, si potrebbero avere come termini di riferimento assi conclamati quali Pelé, Diego Maradona, Alfredo Di Stefano, e sarebbero sicuramente un ottimo riferimento, oserei dire definitivo.

Così come potrebbero dare una misura della grandezza di un calciatore le vittorie che egli riesce a conseguire nell’arco della sua carriera.

Parametro importante anche questo delle vittorie, ma troppo legato ad altri fattori, e che ancora non può bastare.

File photo dated 14-12-1963 of Stanley Matthews, Stoke City PRESS ASSOCIATION Photo. Issue date: Friday November 20, 2015. The Wizard of Dribble, Matthews, was named England’s first Footballer of the Year in 1948, and again in 1963, winning the European title in 1957. The 1953 FA Cup final still bears his nametag after inspiring Blackpool’s 4-3 comeback win against Bolton. See PA story SOCCER Best Greats. Photo credit should read PA Photos/PA Wire.

In realtà tutto questo può servire, ma non essere sufficiente, perché per essere considerati delle leggende, fermandosi un passo dietro ai miti che abbiamo citato sopra, occorre essere stati speciali nello sport praticato, essere diventati idoli dei propri tifosi, gli unici, forse, a poter attribuire i galloni di “leggenda”, così come un capo di stato, sia esso monarca o presidente, può attribuire onorificenze.

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L’archetipo di tutto questo può essere identificato con un nome e un cognome ben precisi, e si tratta, naturalmente, di un calciatore inglese, perché da quelle parti hanno inventato il calcio moderno e di giocatori che, per lungo tempo, ne hanno rappresentato la leggenda ne hanno avuti tanti, ma uno in particolare ha varcato le bianche scogliere di Dover e attraversato lo stretto della Manica, riconosciuto da tutti gli appassionati: Stanley Matthews.

Egli nacque a Henley, una delle sei comunità che formano Stoke-on-Trent, e il posto potrebbe aver influito sul futuro del ragazzo.

La cittadina inglese è nota per le ceramiche, e forse quel gusto per il bello insito nella mentalità degli abitanti spinse la madre Elisabeth ad appoggiarlo nelle sue scelte calcistiche.

Contro il volere del padre, invero, che voleva seguisse le sue orme, perché papà Jack era un pugile professionista, ma evidentemente la protettiva mamma vedeva più sicuro il calcio che il pugilato per il piccolo Stanley.

Al di là delle scelte familiari, però, Matthews era davvero bravo e iniziò la sua carriera nello Stoke City quindicenne già nel 1930 con le giovanili, sottoscrivendo il primo contratto da professionista nel 1932 e militando tra le fila dei biancorossi per quindici anni fino al 1947, saltando solo le stagioni in cui il campionato inglese non fu organizzato a causa degli eventi bellici, ma giocando in squadre militari mentre era arruolato.

Quindici anni sono comunque un periodo molto lungo, ma Matthews, trentaduenne, voglia di appendere gli scarpini al chiodo non ne aveva, bensì si trasferì al Blackpool, dove rimase altre quindici stagioni.

Trent’anni di calcio professionistico ad alto livello rappresenterebbero già un record di longevità, la maggior parte degli atleti, magari patendo infortuni e avvertendo una comprensibile stanchezza, si sarebbero ritirati, ma non Matthews, andando a disputare altre quattro stagioni allo Stoke City, la squadra di casa, chiudendo la carriera definitivamente nel 1965, all’età di cinquant’anni, di cui trentacinque trascorsi da calciatore professionista.

Quella che abbiamo raccontato finora è la vita spicciola di un calciatore inglese la cui eccezionalità sta nella durata, ma Matthews non fu solo questo.

Tecnicamente era un giocatore di fascia, quella che una volta era definita ala destra, fantasiosa e dotatissima nel dribbling.

Aveva una grande sensibilità che, unita all’eccellente controllo di palla e alla notevole velocità, gli permetteva di saltare secco l’avversario come qualità principale.

Importante era anche la sua visione di gioco e la capacità di individuare spazi dove andare a servire i compagni di gioco per la conclusione.

Ancora, Matthews fu tra i primi giocatori ad essere attenti alla qualità del suo equipaggiamento e a seguire un regime dietetico consono ad uno sportivo, cosa che può spiegare la longevità della sua carriera.

Era molto attento ad ogni sfaccettatura del suo sport, tanto da essere anche molto critico con la Football Association, definendola spesso eccessivamente conservativa e retrograda, chiusa alle novità e refrattaria alle innovazioni, avendo a cuore anche i tifosi, che egli considerava, giustamente, la linfa vitale di questo sport.

Infatti fu lunga ma avara di soddisfazioni la sua carriera in nazionale, dove collezionò cinquantadue caps negli anni tra l’esilio volontario e il ritorno alle competizioni mondiali della nazionale dei Tre Leoni.

Una carriera agonistica così lunga farebbe presupporre anche una gran messe di vittorie, in realtà Matthews non vinse quasi nulla, nobilitando il suo palmares con la sola vittoria della FA Cup del 1953.

Il 2 giugno di quell’anno uno stracolmo Wembley ospitò quella che era già la settantaduesima edizione del trofeo, ad affrontarsi la squadra di Matthews, il Blackpool, e il Bolton.

Due outsider che pagarono lo scotto dell’emozione, tra errori e papere dei portieri a venti minuti dalla fine era il Bolton ad essere in vantaggio per tre a uno, ma a questo punto salì in cattedra Stanley e la finale passò alla storia come The Matthews Final, fornendo assist a ripetizione a Stan Mortensen, ad oggi ancora l’unico giocatore ad aver segnato tre gol in una finale, e l’ultimo a Bill Perry per il definitivo quattro a tre finale.

Un vero one man show, con Matthews campione a trentotto anni e che onorava la promessa di vincere la coppa fatta al padre in punto di morte, portato in trionfo dai compagni nonostante non fosse il capitano che aveva ricevuto la coppa da Sua Maestà Elisabetta II.

Trascurabile ma non banale la sua carriera di allenatore, che egli spese soprattutto in Africa andando ad insegnare calcio ai bambini africani, sfidando anche l’apartheid.

La grandezza di questo giocatore, forse oggi poco conosciuto, la si può evincere da un altro dato: Stanley Matthews è stato il primo giocatore a vincere il Pallone d’Oro nel 1955, venendo scelto prima di Alfredo Di Stefano, Raymond Kopa, Ferenc Puskas, mostri sacri che pure dovettero inchinarsi al funambolico inglese.

Per chiudere, se i numeri hanno una loro mistica, la n. 14 di Johan Cruijff, la n. 10 di Maradona e Pelé, la n. 5 di Falcao e di Cesare e Paolo Maldini, la maglia n. 7, prima che con David Beckham, va identificata con Stanley Matthews, capace di dribblare a cinquant’anni

GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli)

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allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore. Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.). Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016). Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.

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