GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli) –
Uno degli episodi che più resta impresso, tra i tanti raccontati dalla Bibbia, è quello tra Davide e Golia (1 Samuele 17).
Il fascino nasce dall’apparente impossibilità dell’impresa, che il piccolo israelita Davide potesse uccidere il gigante filisteo Golia
L’impresa accade, l’improbabile si realizzò e l’insegnamento che ne risulta è proprio questo, che il non realizzabile non esiste, che con la tenacia, la lotta, l’applicazione, la fiducia, e anche la fortuna, qualsiasi impresa è possibile.
Nello sport questo insegnamento è quasi quotidiano, ne è anzi l’essenza stessa, il gusto della sfida, la capacità di riuscire a superare l’avversario più forte.
La nostra storia ci porta al 1950, quando si è avuta forse la prima di queste eclatanti sorprese.
È da soli cinque anni che il mondo è uscito da una lunga e orrenda guerra mondiale, che ha lasciato macerie soprattutto nella Vecchia Europa.
La vita aveva ricominciato a scorrere verso la normalità, anche i palloni avevano ripreso a rotolare sui campi di calcio, in programma erano i campionati del mondo, giunti alla loro quarta edizione.
Proprio per le macerie che ancora ricoprivano l’Europa, come sede per lo svolgimento della competizione fu scelto il Brasile, nel lontano Sud America, coinvolto marginalmente negli eventi bellici.
Andare in casa dei rappresentanti del futebol bailado significava avere un chiaro favorito per la vittoria finale, poi la storia racconterà un altro epilogo, ma quello sarà solo una seconda sorpresa.
Intanto, particolare fu la formula del torneo, alla fine vi parteciparono solo tredici squadre con molte defezioni di quelle europee, proprio per la situazione di cui abbiamo scritto sopra.
Chi era atteso con molta curiosità, e addirittura si spartiva con i padroni di casa i favori dei pronostici per la vittoria finale, era l’Inghilterra, alla sua prima partecipazione alla Coppa del Mondo.
Gli inglesi avevano fatto parte della Fifa fin dal 1906, ma poi ci furono dei dissidi, dovuti alla istituzione dello stesso torneo mondiale, perché credevano che avrebbe oscurato il valore del Torneo Interbritannico e del Torneo Olimpico, dove loro trionfavano come Regno Unito, e per l’introduzione di una prima forma di professionismo, con un rimborso per i giocatori che partecipavano ai tornei con le nazionali.
Tutto questo li aveva portati ad esasperare il loro superiority complex e il loro isolamento, disertando la manifestazione iridata nelle sue prime tre edizioni.
Ora esordivano, in un girone con Cile, Stati Uniti e Spagna, avversari che non provocavano certo turbamenti al CT Walter Winterbottom.
Inoltre, la nazionale dei Tre Leoni aveva avuto un cammino di avvicinamento al torneo quasi trionfale, per cui i sudditi di Sua Maestà nutrivano legittime aspirazioni per fare bene.
L’esordio, infatti, fu vincente con il Cile, una tranquilla vittoria per due a zero, per cui si apprestavano con la massima fiducia ad affrontare il secondo match, con i dilettanti degli Stati Uniti.
La nazionale a stelle e strisce, a differenza loro, era alla terza partecipazione avendo preso parte addirittura al primo mondiale, in Uruguay, raggiungendo a sorpresa le semifinali, prima di essere eliminati dall’Argentina con un perentorio sei a uno, partecipando da comparsa al secondo, eliminata dall’Italia poi campione nel 1934.
Si sa che il soccer, come si chiama il calcio a quelle latitudini, non era, e non è, lo sport principale, ma aveva il suo seguito nelle tante comunità di immigrati, e infatti quella nazionale era formata da calciatori di varie etnie, per la maggior parte dilettanti, poiché quasi ognuno di loro faceva un altro mestiere per vivere (dal conduttore di furgoni mortuari al portalettere, dal lavapiatti all’insegnante).
Ad aumentare l’approssimazione tecnica della squadra si aggiunse il fatto che il Commissario Tecnico fu scelto solo due settimane prima dell’inizio delle gare, individuato nell’immigrato scozzese William Jeffrey.
All’esordio nel mondiale brasiliano avevano perso, come da pronostico, contro la Spagna, ma il tre a uno iberico maturò solo nel finale di gara, dopo che gli statunitensi erano stati anche in vantaggio.
Era il 29 giugno 1950 quando Stati Uniti e Inghilterra si trovarono di fronte, all’”Estadio Raimundo Sampaio” di Belo Horizonte, e alle 15,00 l’arbitro italiano Generoso Dattilo fischiò l’inizio dell’incontro, il classico “Davide contro Golia”.
Da subito gli inglesi invasero la metà campo avversaria, dopo poco meno di dieci minuti aveva già lavorato molto il portiere statunitense Frank Borghi, di professione autista di pompe funebri.
Sul volto dei giocatori britannici si stampavano grandi sorrisi, la vittoria sembrava più facile del previsto, le occasioni fioccavano, però il gol non arrivava.
Sporadici e più che altro velleitari erano gli attacchi statunitensi, finché giunse il minuto trentasette: Walter Bahr, uno dei pochi professionisti degli Stati Uniti fece un tiro quasi di alleggerimento verso la porta inglese difesa da Bert Williams.
Il portiere del Wolverhampton si accingeva comodamente a parare quando sulla traiettoria del pallone si inserì, di testa in tuffo, Joe Gaetjens, studente – lavapiatti, insaccando alla sinistra di Williams.
Incredibile!
La pietra del piccolo Davide aveva colpito, e tramortito, il gigante Golia.
Pubblico e inglesi erano increduli, attoniti: un lavapiatti haitiano, senza nemmeno ancora la cittadinanza statunitense, era riuscito lì dove avevano fino a quel momento fallito campioni conclamati come Billy Wright, Wilf Mannion, Tom Finney, Stanley Matthews.
C’era ancora più di un tempo da giocare, ma ora gli inglesi erano demoralizzati, i loro confusi attacchi si infrangevano contro il muro difensivo americano o erano respinti dalle parate di Borghi, che all’ultimo minuto bloccò sulla linea un colpo di testa di Jimmy Mullen, in un gesto che anni dopo sarà ripetuto con uguale successo da Dino Zoff al mondiale spagnolo, nella partita contro il Brasile, sul colpo di testa di Oscar.
Poco dopo, Dattilo emise il triplice fischio di chiusura della partita, tra la gioia e la sorpresa del pubblico e degli stessi protagonisti, come stupore e incredulità palesarono i media di tutto il mondo.
Questo il tabellino della gara:
29 giugno 1950, “Estadio Raimundo Sampaio”, Stati Uniti-Inghilterra 1-0
Stati Uniti: Borghi, Keough, Maca, McIlvenny, Colombo, Bahr, Pariani, J. Souza, Wallace, E. Souza, Gaetjens. CT: William Jeffrey
Inghilterra: Williams, Ramsey, Aston, Wright, Highes, Dickinson, Mannion, Finney, Mullen, Mortensen, Bentley. CT: Walter Winterbottom
Arbitro: Generoso Dattilo (Italia)
Marcatore: 37’ Gaetjens (Usa)
Probabilmente c’erano già state, in passato, come ci saranno in futuro, altre situazioni in cui il piccolo Davide avrò avuto ragione del gigante Golia, il punto d’inizio ad alto livello fu questo, quando una nazionale di dilettanti fece piangere gli inventori del calcio, realizzando il “Miracolo di Belo Horizonte, dando scacco alla Regina, over again.
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