Arte & Football di Danilo Comino

“Stop in corsa” di Mario Moschi. Un monumento al calcio oltre le ideologie

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Danilo Comino) – A Berlino, nel Friedrich-Ludwig-Jahn-Sportpark, si trova il più antico monumento al calcio della Germania: su un piedistallo in pietra di circa tre metri domina la statua di bronzo Stop in corsa dello scultore italiano Mario Moschi. Il luogo è uno dei più importanti per la storia del calcio a Berlino perché fu proprio qui che, negli anni Ottanta del secolo XIX, fece la sua prima comparsa questo sport importato dall’Inghilterra. La statua di Moschi raggiunse la sua attuale ubicazione nel 1937, in piena epoca nazista, ma fu creata in Italia nel 1932, quando il fascismo celebrava il suo decennale. Richiamiamo brevemente alla memoria il contesto culturale da cui proviene.

Partiamo col dire che in Italia il fascismo aveva instaurato una relazione stretta con lo sport, come del resto era da aspettarsi da un regime, che tra i suoi temi cardine aveva la giovinezza, il dinamismo, la forza, l’audacia, lo spirito combattivo e la prestanza fisica. Allo sport fu affidato il compito di temprare gli italiani a livello fisico e morale, per trasformarli in un popolo ordinato, disciplinato, pronto a lottare per la vittoria – anche in un’eventuale guerra – seguendo Mussolini, che la propaganda presentava come “il primo sportivo d’Italia”. Mediante l’Opera Nazionale Balilla, l’Opera Nazionale Dopolavoro e il CONI, il fascismo promosse lo sport a tutti i livelli nella convinzione che la salute fisica e mentale dell’individuo avrebbe beneficiato l’intero organismo sociale. Lo sport su cui il regime investì più risorse fu il calcio perché era “tipicamente italiano”, era un gioco di squadra e aveva già un vasto seguito. Già da prima della Grande Guerra gli ambienti più patriottici dello sport italiano sostenevano che il gioco che gli inglesi avevano chiamato football derivasse dall’antico calcio fiorentino; nell’Italia fascista quest’origine italiana divenne una verità che nessuno metteva in discussione. Il fatto che si trattasse di un gioco di squadra significava che un gruppo d’individui “lottava” a beneficio del collettivo agli ordini di un “capo”, l’allenatore; il calcio rifletteva quindi perfettamente la visione fascista di una società organica, in cui l’individuo è subordinato alla collettività e questa all’autorità del “capo”, il duce. Il regime intuì che il calcio poteva essere un prezioso canale attraverso cui creare un’identità italiana fascista; per questo motivo pretese che le squadre facessero il saluto romano prima dell’inizio delle partite e che il fascio littorio accompagnasse lo scudo sabaudo sulle magliette della nazionale. Inoltre, il fascismo fece costruire stadi grandi e moderni per aumentare il già numeroso pubblico del calcio e attirare così enormi folle di “fedeli” nella grande “chiesa profana” dello stadio, dove ogni domenica si celebrava il “rito” della partita dopo l’immancabile saluto romano dei calciatori. Ovviamente, affinché tutto ciò funzionasse, erano necessarie le vittorie; e queste non mancarono di certo. Gli anni Trenta furono l’epoca d’oro della nazionale italiana, che vinse la Coppa Internazionale – la massima competizione europea del tempo – nel 1927-30 e nel 1933-35, la coppa del mondo nel 1934 e nel 1938 e la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Berlino del 1936. Anche a livello di club l’Italia trionfava all’estero grazie al Bologna, che si aggiudicò nel 1932 e nel 1934 la Coppa dell’Europa Centrale e, nel 1937, il Torneo Internazionale dell’Expo di Parigi sconfiggendo in finale il Chelsea – nientemeno che una squadra inglese! – con un pesante 4 a 1. I successi calcistici erano abilmente sfruttati dal fascismo per proiettare in Italia e all’estero l’immagine di un paese giovane, forte e vincente. Questo ciclo di vittorie era da poco iniziato quando Moschi creò Stop in corsa.

Come dichiara il titolo, Stop in corsa rappresenta un calciatore lanciato in velocità che controlla il pallone. Il movimento era uno dei temi centrali del primo futurismo come abbiamo visto in Dinamismo di un footballer di Boccioni del 1913; Moschi però preferì concentrarsi sul punto di equilibrio tra due movimenti, quello dell’atleta e quello della sfera; il suo obiettivo non era dare allo spettatore una sensazione dinamica, ma comunicare visivamente le qualità fisiche e morali del perfetto calciatore. Un’opera d’arte può esprimere i suoi contenuti ricorrendo a un linguaggio astratto, come il quadro di Boccioni, o con un realistico, come la statua di Moschi. Ciò non significa però che Stop in corsa si limiti a imitare la realtà; anzi, sotto quest’aspetto la nostra statua è ben poco realistica: provate a correre e a stoppare il pallone con la suola come fa il calciatore di Moschi senza cadere a terra! Pertanto, possiamo dire che Stop in corsa, usando uno stile realistico, viene incontro alle nostre abitudini visive per raggiungere nel modo più chiaro possibile il suo obiettivo che, come si è detto, è raffigurare le virtù fisiche e morali del calciatore ideale. Una di questa qualità è senz’altro la prestanza fisica, che Moschi ci comunica modellando in modo essenziale, senza inutili frivolezze, il corpo e gli arti possenti dell’atleta. La disposizione irrealistica del pallone, delle gambe e delle braccia – astrattamente parallele al suolo – risponde all’esigenza di creare un insieme indipendente, un’architettura di forme che suggerisca allo spettatore virtù come l’autocontrollo e l’equilibrio, mentale oltre che fisico. Come si è detto, la statua rappresenta un calciatore in corsa che controlla il pallone, un gesto apparentemente semplice, che però richiede una grande tecnica calcistica, la qualità che Moschi considerava probabilmente più importante.

Il volto dell’atleta è concentrato sull’azione e i suoi obiettivi, che sono il gol e la vittoria; anche in questo caso, con una sintesi formale degna dell’arte classica Moschi suggerisce qualità essenziali per uno sportivo vincente come la determinazione e lo spirito competitivo.

Nel 1934 il CONI bandì un concorso di arte a tema sportivo per stabilire quali opere avrebbero rappresentato l’Italia all’esposizione prevista per i Giochi Olimpici di Berlino del 1936; alla Biennale di Venezia del 1934, il CONI premiò proprio Stop in corsa, che di conseguenza fu inviata alla mostra berlinese del 1936. Qui fu acquistata dal consiglio municipale della città che, il 17 agosto 1937, la dispose nella sua attuale ubicazione; all’inaugurazione erano presenti delegati del partito nazionalsocialista e dell’ambasciata italiana (si ricordi che Italia e Germania avevano da poco firmato un’intesa politica). Con il suo stile classico di facile comprensione, Stop in corsa appariva conforme alle direttive sull’arte imposte dal nazismo sebbene non si identificasse con esse; infatti, raffigurava uno sport che per i tedeschi continuava a essere d’origine inglese e che non aveva nulla del “mito di Olimpia”; inoltre, lo faceva “alla moderna”, ossia rappresentando un atleta in tenuta da calciatore e non nudo come gli antichi atleti olimpici (per Hitler il modello più alto d’arte sportiva era il Discobolo di Mirone del V secolo a.C.).

Terminata la Seconda Guerra Mondiale, la statua di Moschi si ritrovò nell’area di Berlino controllata dall’Unione Sovietica. Come altri paesi comunisti, la Germania Est diede grande risalto all’attività fisica. Il parco che ospita Stop in corsa divenne sede di un’importante manifestazione sportiva annuale, i “Giorni Olimpici dell’Atletica Leggera”; inoltre, a poca distanza dalla statua fu costruito lo stadio in cui giocava il Berliner Fußball Club Dynamo, il club della STASI, il temibile Ministero per la Sicurezza dello Stato della DDR. Nella Berlino Est comunista nessuno vedeva in Stop in corsa un retaggio del nazi/fascismo; per tutti era solo una bella statua sul calcio in un luogo importante per la storia di questo sport in città; altrettanto può dirsi della Berlino odierna. Pertanto, possiamo terminare col dire che Stop in corsa è un monumento al calcio che, proprio come questo sport, trasmette valori universali che si sono dimostrati compatibili sia con i regimi dittatoriali del secolo scorso, sia con le democrazie.

 

“Per saperne di più” su Danilo Comino e il suo blog: https://artefootball.com/

 

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