INTERDIPENDENZA.NET (Mario Spolverini) – […] Tarcisio Burgnich non doveva essere lì in quel momento, che ci faceva lì? Cosa lo aveva spinto lì? Dopo averci raggiunto a tempo scaduto, i tedeschi ci avevano messo sotto all’inizio del primo supplementare, quel diavoletto malefico di Muller aveva uccellato Albertosi e Cera con tocco insignificante su una capocciata di Seeler. Il sogno costruito sul gol di Bonimba in apertura stava svanendo in una nuvola di caldo umido messicano. “Ma che sono più fesso di Schnellinger”, deve aver pensato la Roccia.
[…] Qualcuno ha parlato di una illuminazione mariana che lo aveva spinto ad attraversare tutto il campo mentre i nostri stavano per battere una punizione, per essere dove l’istinto gli aveva ordinato di essere. Nessuno si accorge di lui quando Rivera batte quel piazzato, non i tedeschi, non le telecamere, di certo neanche Rivera. E neanche il tedescone che sbaglia il rinvio, mettendolo sui piedi di Tarcisio lì dove doveva trovarsi Bonimba o Riva, magari anche Domenghini, ma non lui. E invece c’era il centravanti Tarcisio Burgnich, sollevato da terra dall’urlo di una nazione intera davanti agli schermi in bianco e nero “tira Tarcisio, tira…”. Istinto, sacrificio, fortuna, rabbia, disperazione messi in un frullatore per farne uscire quel tiro che fece esplodere una nazione intera, aprendo le porte ai 20 minuti di calcio immortali nella storia degli azzurri.
Chiunque altro, su quel gol, avrebbe costruito un castello di orgoglio ma non lui, impastato con una modestia oggi sconosciuta: “Quando ci troviamo ancora adesso Domenghini, Riva, Mazzola, Rivera, Bertini, mi prendono in giro: ma come hai fatto a fare un gol così? E io ripeto sempre la stessa cosa: ma che ne so?” […]
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