MEDIAPOLITIKA.COM (Marco Milan) – Arrivato in Sardegna da idolo e tornato a casa nella quasi totale indifferenza. Giorni amari per Giovanni Trapattoni quando decise di sfidare il destino e ridimensionare le sue ambizioni di allenatore ultra vincente per confrontarsi con una realtà più piccola e lottare per traguardi minori dove niente è scontato o regalato. Un’esperienza poco esaltante, per nulla vincente, ma forse anche per questo più significativa.
Dopo gli anni di successi all’Inter (scudetto, Supercoppa Italiana e Coppa Uefa) e il ritorno alla Juventus con la vittoria della Coppa Uefa nel 1993 e due secondi posti in campionato dietro al Milan di Capello, Giovanni Trapattoni nell’estate del 1994 fa le valigie e lascia l’Italia, direzione Monaco di Baviera. Vuole esportare il suo marchio in Germania, il Trap, convinto che il suo calcio e il suo credo possano essere vincenti anche fuori dalla serie A; l’esperienza, tuttavia, non soddisfa molto nè il tecnico di Cusano Milanino e neanche il Bayern Monaco: il sesto posto finale in Bundesliga non rispecchia per nulla le ambizioni delle due parti che a fine stagione divorziano, consapevoli di come poco quello strambo binomio abbia funzionato in Baviera. Avranno tempo e modo di ricredersi un paio d’anni dopo.
Trapattoni è a quel punto ad un bivio: prendersi un anno di riposo e di riflessione, oppure continuare a guardarsi intorno e scegliere un’altra destinazione? Vorrebbe tornare ad allenare in serie A, ma le panchine delle grandi sono tutte occupate: al Milan c’è Capello, all’Inter Ottavio Bianchi, al Napoli Boskov, al Parma Nevio Scala, le romane hanno Mazzone da una parte e Zeman dall’altra, mentre la Juventus ha appena iniziato il ciclo con Marcello Lippi che ha riportato lo scudetto a Torino dopo 9 anni e dopo l’ultimo tricolore firmato proprio da Giovanni Trapattoni. Dall’estero giunge pure qualche chiamata, ma l’allenatore lombardo non è convinto, preferirebbe un incarico in Italia, magari anche da subentrato a campionato in corso, per tornare in pista e in carreggiata dopo l’infelice annata in Germania. A Cagliari, nel frattempo, i sardi hanno salutato l’ottima guida di Oscar Tabarez che ha raggiunto una tranquillissima salvezza col nono posto in campionato e la soddisfazione di aver battuto 3-0 in casa la Juventus, vinto a San Siro contro l’Inter e strappato l’1-1 col Milan. Al presidente Massimo Cellino viene l’idea: e se provassimo a chiamare Trapattoni?
Sulle prime qualcuno sorride, gli stessi uomini di fiducia del patron cagliaritano gli fanno notare che Trapattoni è uno abituato con le grandi squadre, ama vincere, ama la tensione dell’alta classifica, ma Cellino ribatte colpo su colpo, dice: “Se il Trap ama la tensione ne troverà parecchia venendo qui a lottare per la salvezza”. In realtà al presidente sardo non basta più la salvezza, vorrebbe tornare in Coppa Uefa come già accaduto un paio di stagioni prima, la disponibilità economica ce l’ha, lo stadio fa registrare un’ottima affluenza di pubblico e l’organico nel Cagliari è già abbastanza buono col portiere ex Lazio Valerio Fiori, il difensore centrale Firicano, il poderoso terzino sinistro Pusceddu, l’attaccante Luis Oliveira, brasiliano ma di passaporto belga. I colloqui fra Cellino e Trapattoni sono inizialmente cordiali e generici, ma ben presto i sondaggi si trasformano in un corteggiamento vero e proprio: il presidente cagliaritano vuole l’allenatore a tutti i costi, Trapattoni, dal canto suo, è sempre più tentato da un’avventura tanto rischiosa quanto affascinante. Sa che il pericolo è non saper gestire un organico che non può lottare per grandi traguardi, ma vuole dimostrare di essere un allenatore capace anche in provincia, seppur Cagliari sia città grande e con tifo appassionato.
Il matrimonio, insomma, s’ha da fare perchè le volontà delle parti si sposano a meraviglia: da una parte c’è il Cagliari che vuole salire un gradino nella gerarchia della serie A, dall’altra c’è Trapattoni che vuole confrontarsi con una realtà diversa dalle metropoli di Milano, Torino e Monaco di Baviera, gustando un calcio totalmente differente da quello vissuto per oltre trent’anni fra campo e panchina. Il 19 giugno del 1995 Giovanni Trapattoni diventa il nuovo allenatore del Cagliari e nel capoluogo sardo è festa grande, addirittura le pubblicità per la campagna abbonamenti vengono stampate sulle fiancate degli autobus di linea cittadini col faccione sorridente del Trap che invita tutti gli appassionati rossoblu a sottoscrivere le tessere per lo stadio. Poi parte pure il calciomercato: Cellino vuole condurlo a braccetto con Trapattoni e col direttore sportivo Vitale; va via il centravanti panamense Dely Valdes, ceduto al Paris Saint Germain e rimpiazzato dall’uruguaiano Dario Silva, va via anche una colonna del centrocampo come Josè Herrera, sostituito dall’ex laziale Giorgio Venturin e dalla giovane promessa del Foggia Mauro Bressan. In difesa, sempre dalla Lazio, ecco Mauro Bonomi che ai tempi dei suoi esordi a Cremona era considerato un vero e proprio predestinato.
Le premesse per disputare un’ottima stagione ci sono tutte a Cagliari: in panchina c’è uno dei migliori allenatori in circolazione, la squadra pare ben assortita e gli esperti, ai nastri di partenza della serie A, pongono i rossoblu come una delle possibili rivelazioni del campionato, ben lontana dalle zone basse della classifica e pronta ad inserirsi in quelle nobili per raggiungere quella qualificazione alla Coppa Uefa di cui in Sardegna nessuno fa più mistero. Una coppia di attaccanti come Oliveira e Dario Silva non ce l’ha nessuna delle squadre che lotteranno per la salvezza, in effetti, e poi c’è Trapattoni, uno che difficilmente accetta un incarico se non dopo attente valutazioni, per cui se ha accettato Cagliari è perchè convinto di poter raggiungere l’obiettivo e togliersi diverse soddisfazioni in una piazza affamata di calcio. Trapattoni è uno pragmatico, pochi fronzoli e tanta sostanza, per nulla abituato ad illudersi, anzi, quel suo motto “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco“, sarà pure diventato uno dei tormentoni di Mai Dire Gol, ma riassume alla perfezione lo stile di vita e gli ideali del tecnico milanese. Difficile prevedere allora che quel gatto da Cagliari sta davvero per uscire dal sacco del Trap.
Il 27 agosto 1995 parte la serie A e il Cagliari incomincia col piede sbagliato perdendo 1-0 in casa della neopromossa Udinese, rete di Oliver Bierhoff. E’ deluso a fine partita Trapattoni, deluso ed arrabbiato, ma sicuro che si tratti appena di un incidente di percorso. Tre giorni dopo i sardi esordiscono pure in Coppa Italia e a Lucca contro la pimpante Lucchese che sfiorerà la promozione in serie A in quella stagione, rischiano grosso: i toscani vanno sul 2-0 dopo 20 minuti, poi il Cagliari raddrizza la situazione, è devastante in attacco ma colabrodo in difesa (l’opposto della squadre solitamente guidate da Trapattoni) e alla fine riesce a prevalere per 4-3 solamente dopo i tempi supplementari. Dopo la sosta riparte il campionato e alla seconda giornata, nel debutto al Sant’Elia, il Cagliari cade anche contro la Lazio, cedendo per 1-0; ma non basta perchè una settimana dopo i rossoblu vengono sconfitti anche a Firenze (3-1) e dopo tre giornate sono inchiodati a zero punti e all’ultimo posto della classifica. La squadra non gira e Trapattoni sembra incapace di dare la scossa, nonostante dalla panchina urli, strepiti, si agiti e fischi come il suo solito. I maligni della stampa iniziano a dire che è troppo facile guidare la Juventus e che il tecnico sta dimostrando tutti i suoi limiti (tattici soprattutto) in una piazza più piccola come Cagliari.
Qualcuno parla di un Cellini furibondo e già pronto al clamoroso esonero se il Cagliari contro la Juventus alla quarta giornata non farà punti. Inutile dire che tutti siano ormai certi del licenziamento di Trapattoni: la Juventus è campione d’Italia in carica, il Cagliari sembra piccolo e impaurito, cosa mai potrà combinare contro l’armata bianconera? E invece ecco che tutto in una volta la squadra isolana trova concentrazione, determinazione e grinta: dopo un avvio timido, infatti, i rossoblu acquistano coraggio e per la prima partita sembra che la mentalità di Giovanni Trapattoni sia stata finalmente recepita anche dai calciatori che strappano un inaspettato ma meritato 0-0. E’ forse il punto di svolta, perchè il tecnico salva la panchina al termine di una prova gagliarda e perchè il Cagliari la settimana successiva sbanca Genova battendo 2-1 la Sampdoria, ribaltando con Dario Silva ed Oliveira l’iniziale svantaggio firmato da Maniero. Ora sì che sembra vedersi il vero Cagliari, ora sì che Trapattoni ha in mano una squadra che era effettivamente troppo brutta per essere vera e che non vuole fermarsi più: il 15 ottobre batte in casa 1-0 la Cremonese, in Sardegna si ricomincia a parlare d’Europa e l’ex allenatore juventino è di nuovo il fiore all’occhiello di una buonissima formazione.
Dopo gli ottimi risultati con Juventus, Sampdoria e Cremonese, infatti, il Cagliari rimpiomba in crisi perdendo prima fragorosamente a Bari (3-0), poi in casa contro la Roma dell’ex Mazzone , infine a Milano contro il Milan. Tre sconfitte che insinuano nuovi dubbi su un Trapattoni che continua a dirsi fiducioso in vista del futuro e sicuro che il Cagliari abbia solamente bisogno di più tempo per assimilare schemi, gioco ed assumere autostima. Il successo in Coppa Italia contro la Sampdoria (2-1) che qualifica i sardi ai quarti di finale della manifstazione, restituisce ossigeno a Trapattoni, “salvato” anche dalle vittorie in campionato al Sant’Elia contro il pericolante Torino e contro il Napoli (ottenute rispettivamente per 1-0 e 2-0), dal pareggio di Piacenza (1-1) e dai successivi successi contro Atalanta (2-0) e in casa del Vicenza, 1-0 firmato da Oliveira che sembra mandare Trapattoni a festeggiare in famiglia un sereno Natale. Non sarà così perchè entro la fine di dicembre il Cagliari esce dalla Coppa Italia per mano dell’Atalanta, quindi cade pesantemente contro l’Inter a San Siro e a Parma (4-0 in entrambi i casi) e perde anche fra le mura amiche contro il Padova, una sconfitta che manda Cellino su tutte le furie.
A Cagliari si levano forti le voci che parlano di un Trapattoni sfiduciato e pronto a rassegnare le dimissioni, pur di dare una scossa alla squadra, ormai col morale a terra, le ambizioni europee finite chissà dove e il terrore di sprofondare in serie B. Voci seccamente smentite dalla società e dallo stesso allenatore, tutti pronti a far muro in nome del Cagliari e di una possibile resurrezione, assai complessa però da attuare. Eppure, l’inizio del 1996 fa registrare una scossa nell’encefalogramma cagliaritano quasi piatto: i sardi travolgono 4-1 l’Udinese e Trapattoni respira aria fresca a pieni polmoni; forse qualcosa si può ancora salvare. Ma il successivo rovescio in casa della Lazio che passeggia 4-0 sui resti di un Cagliari ormai affranto, è il colpo di grazia per l’allenatore lombardo che salva il salvabile con lo 0-0 casalingo con la Fiorentina, ma che nulla può dopo l’ennesima batosta, stavolta rimediata a Torino con la Juventus che non ha pietà della sua vecchia guida e si impone 4-1. E’ l’11 febbraio 1996, Giovanni Trapattoni esce dallo stadio Delle Alpi scuro in volto e con lo sguardo fisso sulle sue scarpe, a nulla serve neanche il conforto della tifoseria bianconera che lo acclama a gran voce. Sono le ultime immagini del Trap da allenatore del Cagliari.
Fin dall’immediato dopo partita, infatti, si capisce che qualcosa in seno alla società cagliaritana si stia muovendo. Stavolta non sono voci, stavolta Trapattoni ha deciso: si dimette. L’allenatore ufficializza la propria scelta due giorni dopo, affermando come fosse ormai inutile andare avanti e confermando anche l’idea di volersene andare già da qualche settimana: “E’ stato tutto inutile – dirà – io avevo detto alla squadra che mi sarei fatto da parte per il loro bene, ma i calciatori avrebbero dovuto reagire e non l’hanno fatto. Non c’è stato nulla da fare, per cui vado via a malincuore”. Poche parole, ricche di amarezza, poi il saluto alla squadra nel primo pomeriggio e la partenza per Cusano Milanino. Arrivederci Cagliari, è stato bello anche così. Cellino chiamerà Bruno Giorgi (alla seconda esperienza sulla panchina rossoblu) che risolleverà la squadra conducendola alla salvezza e ad un onorevole decimo posto in classifica, bissando in pratica il nono ottenuto da Tabarez l’anno precedente.
Giovanni Trapattoni ha lasciato Cagliari dopo 21 partite e 24 punti con 7 vittorie, 3 pareggi e ben 11 sconfitte, pagando a caro prezzo alcuni ko mortificanti come i 4 gol incassati contro Inter, Parma, Lazio e Juventus, ma più in generale un andamento troppo zoppicante ed incerto di una squadra costruita per piazzamenti migliori di quelli ottenuti con l’allenatore milanese in panchina. Forse non era destino, forse davvero allenare il Cagliari è più difficile che allenare la Juventus, di certo c’è che quella volta al Trap il gatto è scappato davvero dal sacco.
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