GLIEROIDELCALCIO.COM (Alessandro Mastroluca) – Una grande occasione per mostrare il valore della coesione nazionale. Per il regime fascista, le Olimpiadi di Berlino del 1936 non hanno solo un significato sportivo. Anzi, alla luce dell’attenzione per l’attività fisica già evidente dal 1926 con la creazione dell’Opera Nazionale Balilla (ONB), la partecipazione dell’Italia ai Giochi si trasforma in uno strumento di propaganda. Il regime ha anche un obiettivo di riscatto, dopo le sanzioni per la guerra in Etiopia. Quel “nemico […]ungi dallo spezzarci le ossa, noi l’avevamo affrontato, smascherato, battuto nello Stadio dell’Onore per la gloria d’Italia” scrive il giornalista Bruno Roghi, cantore del fascismo sulla Gazzetta dello Sport.
A Berlino, l’Italia si presenta da campione del mondo nel torneo di calcio. Ma gli incentivi economici della FIGC, le politiche di naturalizzazione che hanno arricchito la rosa capace anche di conquistare la Coppa Internazionale, hanno un impatto ridotto per la selezione olimpica. Il calcio, infatti, in Italia è diventato uno sport professionistico con l’approvazione della Carta di Viareggio. Il CIO, però, richiede il rispetto del dilettantismo almeno formale. Al Congresso di Stoccolma del 1932, la FIFA ha approvato direttive che lasciano alle singole nazioni il compito di delineare i limiti del dilettantismo per la selezione dei calciatori. Così a Berlino possono scendere in campo nazionali come la Spagna o la stessa Germania composte da giocatori stipendiati da squadre della prima divisione. L’Italia, invece, sceglie di rispettare alla lettera le indicazioni del CIO. Il commissario tecnico Vittorio Pozzo, patriottico sì ma non al punto di far cantare la canzone del Piave in spogliatoio come vuole una leggenda ancora in voga, segue il campionato universitario e chiede al coordinamento dei Gruppi Universitari Fascisti (GUF) di organizzare un ritiro a Pisa. Pozzo chiama i calciatori uno ad uno, ma il suo entusiasmo non sembra condiviso. La presenza dell’Italia, scrive Emilio Insaldi per la Gazzetta dello Sport, “ha aderito all’invito [della Germania] in linea di massima, e per non urtare le norme olimpioniche ha trovato la soluzione della Squadra Nazionale Universitaria”.
Una soluzione chiaramente sperimentale, di fronte alla quale la curiosità si combina con una punta di diffidenza che abbassa le ambizioni. Le qualità per non mancano, il calcio italiano vive una fase di evoluzione con la prima Juventus dell’era Agnelli, quella del cosiddetto quinquennio d’oro nella prima metà degli anni Trenta e i successi del Bologna nella Coppa dell’Europa Centrale (1932 e 1934).
Pozzo raduna i calciatori a Merano, in un albergo che aveva ospitato anche l’Imperatore austriaco Francesco Giuseppe. Contatta le autorità militari per riparare il campo danneggiato durante le esercitazioni dei soldati e fa allenare inizialmente i giocatori solo sul piano fisico e atletico. La palla, come già nella programmazione del lavoro prima dei Mondiali del 1934, arriva dopo.
Ancora più spartano l’alloggio delle squadre una volta arrivati a Berlino. Le squadre alloggiano a Doeberitz, caserma normalmente adibita a scuola ufficiali a quaranta chilometri dallo Stadio Olimpico teatro della prima cerimonia inaugurale con il rito dell’accensione del braciere. Gli alloggi risultano seminterrati, nei boschi, protetti da una sentinella a cui mostrare il documento o il tesserino da atleta.
L’esordio degli azzurri del torneo di calcio, in cui mancano potenze dell’epoca come Uruguay e Cecoslovacchia, iniziano con uno striminzito 1-0 contro gli Stati Uniti. “Non gioite per questo risultato – tuona Pozzo -, se dalla prossima partita non giocherete meglio, vi pagherete di tasca vostra il biglietto per tornare in Italia”.
La squadra, spiegherà il commissario tecnico, “aveva bisogno di una strigliata per applicarsi con rigidità e fermezza”. Immediato l’effetto: 8-0 al Giappone nei quarti, 2-1 in semifinale contro la Norvegia.
In vista della finale contro l’Austria, gli azzurri temono il clima allo Stadio Olimpico di Berlino, che sarà in effetti più che ostile all’Italia, e l’arbitro Peco Bauwens, futuro presidente della Federcalcio tedesca e acceso nazionalista, irreprensibile in finale. Anche gli austriaco hanno seguito alla lettera il richiamo ai valori espressi dal Comitato Olimpico Internazionale e hanno presentato una nazionale di autentici dilettati, che in finale giocano duro. L’Italia sblocca la partita al 25′ con Annibale Frossi, che chiuderà i Giochi da capocannoniere. A Flambro, il paese dove è nato, la gente si accalca sotto le finestre di piazza Vittorio Emanuele 10, la casa dei suoi genitori. Mamma Rosina ha infatti una delle prime radio che si siano viste da quelle parti.
Il pareggio del mediano Wallmuller costringe le due squadre ai supplementari, che scattano dopo un quarto d’ora di intervallo. Gli azzurri non scendono le scale del sottopassaggio che porta agli spogliatoi, perché sono a chiocciola e con i tacchetti si rischia di scivolare. Restano seduti su una lunga trave di legno, in una sorta di interrato al livello del campo. Pozzo, appassionato, parla in piedi ai suoi ragazzi. “Un esile filo ci separa dalla vittoria – dice -, i nostri a casa ci aspettano. Dipende tutto da noi”.
La strategia funziona. Nei primi minuti dei supplementari, Frossi segna il settimo e più importante gol della sua campagna olimpica. La rete che vale il 2-1 e la medaglia d’oro. L’emozione è tanta, troppa, per la madre che crolla a terra. Solo quando la domestica Elia la rianima, a casa Frossi si può esultare. Il risultato non cambia più.
Al termine della partita gli undici ragazzi in maglia azzurra, racconta Emilio Colombo con l’enfasi propagandistica dell’epoca sulla Gazzetta dello Sport, “si sono allineati in un’unica fila, hanno alzato la destra nel saluto fascista e hanno gridato nel nome del Capo al quale offrivano in purezza di fede e di passione la sudata conquista”.
La nazionale azzurra ha regalato all’Italia uno degli otto ori di Berlino ’36, che la delegazione azzurra conclude con 22 medaglie. Un traguardo che lascia insoddisfatti i dirigenti fascisti colpiti dalla supremazia europea della Germania, seconda nel medagliere.
Ma Frossi e compagni non pensano alla Germania. Guardano alla bandiera tricolore alta sopra il pennone, nel cielo ormai scuro sopra Berlino, con il volto rigato dalle lacrime di gioia.
“Tutto scompare nell’impressione di questo epilogo”, scrive Pozzo sulla Stampa, “tutto è soverchiato dalla commozione che sale irresistibile alla gola di fronte al successo ottenuto in circostanze straordinarie dai più modesti e più disciplinati fra i calciatori nostri, da questi purissimi prodotti dell’atmosfera fascista”.
Il commissario tecnico, che aveva combattuto la Prima guerra mondiale nel terzo reggimento alpini, celebra il trionfo con orgoglio e disciplina. “Compiere vittoriosamente il proprio dovere verso la Patria” conclude, “è la più grande soddisfazione che un uomo di fede e di sport possa desiderare”.
Ibid. Cfr., F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., pp. 31-5 e 83-6, S. FINOCCHIARO, L’educazione fisica, cit., pp. 124-7 e M. IMPIGLIA, Dopolavoristi e balilla, in Coroginnica, cit., p. 206.
Cit. in S. JACOMUZZI, Storia delle Olimpiadi, Torino, Einaudi, 1976, p. 174.
Cfr. A. PAPA, Football e littorio, cit., p. 18. Sui successi del Bologna cfr. P. LANFRANCHI, Bologna: ‘The team that shook the World’, «The International Journal of the History of Sport», Vol. 8 n° 3, 1991, pp. 336-46.
Cfr. F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., p. 67.
FONTI
F. FABRIZIO, Sport e fascismo, la politica sportiva del regime : 1924-1936, Guaraldi, 1976
M.GRIMALDI, Storia d’Italia, del calcio e della Nazionale. Uomini, fatti e aneddoti (1850-1949), Lab DFG, 2020
S. JACOMUZZI, Storia delle Olimpiadi, Einaudi, 1976
L.LOLLI, I Mondiali in camicia nera, Ardini editore, 1990
N.SBETTI, Giochi diplomatici, Fondazione Benetton Studi Ricerche, 2020
N.SSBETTI, Giochi di potere, Le Monnier 2012
A.PAPA Football e littorio, in M.Canella e S.Giuntini (a cura di), Sport e fascismo, Franco Angeli, 2009
V.POZZO, Campioni del mondo, quarant’anni di storia del calcio italiano, CEN, 1960
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