Nello sport la rivalità è una delle componenti fondamentali, l’elemento che costituisce l’essenza della competizione, sorella essa stessa della competitività.
Avere un avversario da battere, o da cui doversi difendere, rappresenta lo spirito primario del gioco, traslazione di quello ben più concreto della lotta per la vita che sempre l’uomo ha dovuto sostenere contro sé stesso, lo stimolo che ci permette di puntare al massimo per raggiungere un obiettivo.
In questa ottica, essa ci “costringe” ad essere sempre migliori, a cercare la perfezione, che resta l’unica strada per la vittoria e, a volte, per la gloria.
Banalmente, spesso diciamo che lo sport è metafora della vita stessa, ma proprio nella quotidianità non abbiamo sempre un rivale, conscio o inconscio, come punto di riferimento per dare sempre il meglio, per andare sempre oltre?
Chiaro anche che parliamo di rivalità sana di cui, come tutte le cose degli esseri umani, esiste anche un lato oscuro, quella rivalità esasperata che ci porta a voler primeggiare ad ogni costo, a guardare all’avversario non come un competitore, ma come un nemico da abbattere.
Nel calcio, che è il nostro sport di riferimento, sono i tifosi quelli più sensibili alla rivalità, traslando nella squadra e nei giocatori che ne indossano i colori i soggetti che renderanno tangibile la supremazia suirivali, e qui possiamo vedere le due facce della medaglia che abbiamo descritto sopra: i tifosi stessi vanno divisi in due categorie, i sostenitori, quelli cioè che fanno principalmente il tifo per i propri colori, e gli ultras, ormai catalogati in quelli che fanno il tifo “contro” gli avversari, anche se il concetto in questo caso può sembrare semplificato ed estremizzato.
Si va certo oltre il tifo sportivo quando, ad esempio, la partita è vista come un confronto tra il Nord e il Sud della nostra Penisola, o quando incrociano i bulloni Barcellona e Real Madrid in Spagna, scontri territoriali e politici che travalicano i confini sportivi in una deriva che non dovrebbe trovare spazio in luoghi dove ci si aspetta solo l’esaltazione del divertimento.
Ci sono, poi, le rivalità geografiche, i tanti derby nostrani, quelli in Sud America tra Boca Juniors e River Plate, tanto per allargare i confini, in cui spesso la partita è solo l’occasione per scatenare una guerra tra bande.
Alcune rivalità nascono, infine, immotivate, per episodi nati casualmente e destinati a perpetuarsi nel tempo.
L’Inghilterra, da questo punto di vista, offre ampi spunti, essendo iniziato lì il calcio moderno anni prima che da altre parti, la tradizione è lunga anche in questo senso.
Una tradizione così lunga che i gruppi di tifoserie delle varie squadre sono chiamati firm, aziende, e che nel periodo tra gli anni Settanta e Ottanta è sfociata nel triste fenomeno degli Hooligans, che hanno imperversato, e spesso insanguinato, le notti delle coppe europee, fino alla tragedia dell’Heysel del 1985 e alla conseguente esclusione dalle stesse dei club inglesi, richiesta e ottenuta dal governo di Margareth Thatcher, la Lady di Ferro, con riammissione nel 1990, che ha di molto mitigato, anche se non azzerato, il fenomeno.
Per cercare di capirlo veramente, questo fenomeno, ci addentriamo in una delle rivalità più dure e longeve del calcio inglese che, a rimarcare quanto scritto, non è da far risalire a questioni di campo, quindi calcistiche, ma proprio ambientali, sociali, geografiche del posto dove sorgono queste due realtà, entrambe ubicate nell’East End della capitale inglese.
Luogo povero, sostanzialmente malfamato, già balzato agli onori della cronaca per essere stato teatro delle imprese non certo commendevoli di Jack lo Squartatore.
In questa parte del Regno britannico, sulle sponde opposte del Tamigi, presero vita due squadre, West Ham e Millwall, dai rispettivi luoghi di lavoro, quasi squadre aziendali.
I primi, veri rappresentanti londinesi, incarnano la classe media calcistica britannica, mai vincitori del campionato, con solo tre vittorie in FA Cup, ma con un curriculum internazionale quasi più ricco, avendo vinto una Coppa delle Coppe, una coppa Intertoto e la seconda edizione della Conference League.
Media borghesia, quindi ma nobile rispetto al proletariato puro del Millwall, squadra che ha frequentato la massima serie inglese per la prima volta nella stagione 1987/1988, retrocedendo in quella successiva, senza più risalire.
Nella storia ultracentenaria di queste due squadre, quindi, le possibilità di incrocio sono state poche, solo ventiquattro, ma sempre hanno avuto come coreografia incidenti, risse, e anche qualche morto.
Una rivalità che proprio per gli esigui trascorsi calcistici non può essere nata sul campo, germogliando negli ambienti lavorativi, tra gli stabilimenti di costruttori di navi (gli Hammers) e gli scaricatori di porto (i Dockers), tra l’altro precedente a quello che fu il primo incontro ufficiale tra le due squadre, avvenuto nel 1930.
Un odio nato e cresciuto nel tempo nel 1926, quando ci fu uno sciopero generale delle maestranze portuali, cui aderirono quelli del West Ham, ma che vide quelli del Millwall regolarmente al lavoro, e allora, come nei migliori film incentrati sulle lotte operaie degli anni Settanta, giù botte da orbi ad ogni incrocio agonistico.
Nessuna partita che ha visto di fronte queste due squadre è stata esente da incidenti, scontri tra tifoserie, raggiungendo uno dei suoi apici nell’incontro o, per meglio dire, scontro, del marzo 2004, con il derby che ritornava dopo dieci anni, in First Division dove era retrocesso il West Ham e dove stazionava il Millwall.
In quell’occasione gli scontri furono particolarmente violenti, tanto che quella giornata sarebbe rimasta negli annali come “The Mother’s Day Massacre”, o anche come il giorno della vergogna, facendo passare quasi nel dimenticatoio che i Leoni portuali superarono i rivali per quattro a uno, loro più larga vittoria di sempre, pareggiando il risultato della sfida d’esordio del 1930, in cui con lo stesso punteggio prevalsero gli Hammers.
Incidenti la maggior parte limitati al contorno, perché le squadre, pur consapevoli di questa rivalità, in campo si sono affrontate quasi sempre correttamente, dando vita anche a grandi spettacoli calcistici, purtroppo oscurati dai fatti di cronaca.
Dopo ventotto partite dal 1930, con sette vittorie del Millwall, dieci del West Ham e undici pareggi, l’ultimo incrocio ufficiale è stato nel 2012.
Appena ricapiterà, o per una sfida di coppa o perché le due squadre si ritroveranno nello stesso campionato, sicuramente questa rivalità, invero malsana, ma forte e reale, conquisterà di nuovo la ribalta della cronaca, con un pallone come sfondo, una volta tanto comparsa e non protagonista.