Wimbledon: crazy gang in paradise
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Wimbledon: Crazy Gang in paradise

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Wimbledon Crazy Gang

Wimbledon: Crazy Gang in paradise

Una delle componenti fondamentali del gioco del calcio è la squadra: è un’affermazione invero ovvia, ma che nasconde dietro tutto un mondo.

Nel calcio, che è un gioco collettivo, bisogna pensare ad una squadra non come ad una somma di individualità, ma come a un corpo unico, indipendente, dotato di vita propria, di un’anima propria.

Solo quando il gruppo si trasforma in squadra, la somma dei singoli diventa entità unica, solo allora si possono ottenere i grandi risultati, firmare le grandi opere.
È con l’aiuto reciproco di ogni giocatore, il tendersi verso un unico obiettivo, perseguendolo tutti insieme come un mantra, che si crea l’aura giusta che può portare alla vittoria, alla grande impresa.
Contro ogni pronostico, quando tutto è avverso, l’anima della squadra permette di ottenere la forza per superare qualsiasi ostacolo, anche il più invalicabile.
La storia del calcio è piena di queste storie, fin dal suo inizio, innumerevoli possono essere gli esempi, dalla Danimarca campione d’Europa nel 1992 alla Grecia che vinse lo stesso trofeo nel 2004; dalla Lazio scudettata del 1974 al Verona del 1985, tanto per restare alle nostre latitudini, come anche le vittorie azzurre ai mondiali del 1982 e del 2006.
Ultimo esempio può essere il Leicester, campione d’Inghilterra nel 2016, e proprio lì andiamo per raccontare la nostra storia, precisamente a Wimbledon.
Questo è un quartiere di Londra, molto famoso per essere il regno del tennis, uno sport diverso dal calcio, individuale, dove basta l’anima del singolo, la sua forza di volontà, il suo talento, per creare l’impresa.
Diverso, come scritto, dal gioco collettivo.

C’è un’altra caratteristica che va ascritta ad una squadra di calcio, non sempre, ma spesso: la follia.
Occorre una vena di pazzia, a volte, perché certi successi vengano raggiunti, ma la pazzia non caratterizza solo l’idea di raggiungere un risultato apparentemente impossibile, perché qui a volte veramente ci troviamo al cospetto di una combriccola di fuori di testa, gente capace di follie anche nella vita normale, che si esaltano nel calcio e qui trovano la loro sublimazione.
Possiamo citare di nuovo la Lazio del 1974, composta da giocatori che arrivavano anche a prendersi a pugni negli spogliatoi, che si divertiva al tiro a bersaglio con pistole e fucili durante i ritiri, ma che in campo si trasformava in un gruppo granitico, capace di andare a vincere il primo scudetto della società biancazzurra.


In Inghilterra il Wimbledon era, ed è attualmente, una squadra che navigava alla periferia del grande calcio, ma che conobbe gli onori dei massimi palcoscenici alla metà degli anni Ottanta.
Con una caratteristica: quel gruppo era formato da persone che avevano comportamenti al limite del delinquenziale, che se non avessero giocato al calcio probabilmente sarebbero stati più o meno assidui frequentatori delle prigioni di Sua Maestà.
E in campo portavano tutta questa loro cattiveria.
La squadra annoverava tutti questi pedatori che avevano fatto del gioco duro, spiccio, senza fronzoli, al limite e spesso oltre la cattiveria pura, il loro marchio di fabbrica.
Si andava dal difensore Eric Young, detto il Ninjia, a Denis Wise, un tipo che pure sapeva giocare a calcio, ma che “potrebbe scatenare una rissa in una casa vuota”, parole e musica di sir Alex Ferguson.
Il prototipo di questa “allegra brigata”, però, può essere identificato in Vinnie Jones, che quasi non avrebbe bisogno di presentazioni.
Gallese di origine, centrocampista, ma soprattutto “picchiatore” senza scrupoli e cattivo per antonomasia, fu proprio con i Dons che conobbe i momenti più “esaltanti” per il suo modo di giocare, anche se poi la sua carriera calcistica sarebbe continuata in piazze più nobili (Leeds, Sheffield, Chelsea, prima di chiudere ai Queens Park Rangers e di diventare attore).
Era, in pratica, lui il giocatore più rappresentativo di quella squadra, anche se tra le file del Wimbledon militavano giovani giocatori come Terry Phelan, che avrebbe avuto un buon prosieguo di carriera, o vecchi leoni che la carriera la stavano terminando, come l’attaccante Laurie Cunningham, che aveva vinto tutto con il Real Madrid.
In mezzo a tanta “crema” si può dire che quasi spiccava la normalità del portiere, Dave Beasant.
Era, questi, un lungagnone innamorato del suo ruolo, soprannominato Lurch per la sua somiglianza con il maggiordomo della famiglia Addams.
Era questa bella compagnia che battagliava sui campi della First Division e che raggiunse l’apice della sua gloria nel 1988.
L’FA Cup è il trofeo più antico del mondo (risale al 1871 la sua prima edizione), anche il più ambito, il 14 maggio si trovarono di fronte a contenderselo a Wembley per la finale il Liverpool, asso pigliatutto di quel periodo, e proprio la sorprendente Crazy Gang, come furono soprannominati quelli del Wimbledon.


Il pronostico era, ovviamente, chiuso a favore dei Reds, ma in campo fu tutta un’altra storia.
La squadra allenata da Kenny Dalglish andò subito in difficoltà contro la difesa arcigna e i lanci lunghi orchestrati dal Wimbledon, guidato in panchina da Bobby Gould, e quando Ray Houghton, John Barnes o Peter Beardsley riuscivano a superare la dura difesa dei Dons, erano stoppati dalle parate di Lurch Beasant.
Alla fine, i miracoli in quella partita furono due: al 37’, a sorpresa, fu Lawrie Sanchez a trovare il modo di superare Bruce Grobbelaar e a portare in vantaggio i suoi; al 61’ John Aldridge per i Reds subì un fallo in area, ma si fece parare il conseguente rigore da Beasant.


Il risultato non cambiò più, al fischio finale dell’arbitro Brian Hill i centomila presenti a Wembley poterono salutare l’eroica impresa.
Dave Beasant fu tra gli eroi di quella squadra, entrando nella storia per essere stato il primo portiere a parare un rigore in una finale di FA Cup, e il primo a sollevare il trofeo da capitano.

Crazy Gang in Paradise

GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli)

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allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore. Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.). Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016). Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.

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