GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli) – L’evoluzione della vita dell’uomo è fatta di idee, di scoperte che, nel corso degli anni che sono diventati secoli, hanno contribuito a rendere sempre migliore la vita.
Si pensi ai progressi ottenuti in campo scientifico, al miglioramento della qualità della vita grazie alle scoperte mediche.
Le idee sono lampi di sapere che esplodono improvvisi nella testa degli uomini che dedicano la loro vita ad un determinato campo dello scibile, magari sedimentano per poi deflagrare nel tuono della conoscenza nel corso degli anni, misconosciute al loro apparire, punti di approdo pronti a diventare punti di partenza verso nuove scoperte.
Lo stesso è accaduto nel calcio: quello per cui ci entusiasmiamo oggi, ci appassioniamo, non è, infatti, lo stesso gioco degli albori, dei fondatori, ma è figlio di idee che si sono evolute nel corso del tempo, che sono venute a uomini che si possono considerare i padri del gioco e ne hanno segnato il progresso.
La nostra storia si svolge all’inizio del secolo scorso, quando in Europa e nel mondo il calcio era ancora agli albori, ma in Inghilterra quasi arrivava al secolo d’esistenza.
Oltre ad averne scritto le regole basilari, gli inglesi erano anche depositari della tecnica del gioco, ma più che inglesi sarebbe più giusto dire i britannici, in quanto l’interpretazione del gioco si divideva tra il kick and rush tipicamente albionico e il passing game originatosi in Scozia.
Rudimentali erano i primi assetti tattici, dall’1-1-8 dell’Inghilterra al 2-2-6 della Scozia, finché proprio il passing game impose uno sviluppo di gioco più ordinato, e ne scaturì il primo schema che dette ordine alla disposizione dei giocatori sul campo, passato alla storia come “Piramide di Cambridge”.
Questa disposizione 2-3-5 si rivelò vincente e spettacolare e fu quella adottata da tutte le squadre, perché nel calcio, allora come oggi, il sistema vincente è interiorizzato e metabolizzato, fino a studiarne le variazioni quando ormai è conosciuto da tutti.
Inoltre, in quel periodo in cui il calcio conosceva il suo massimo sviluppo, c’era una notevole effervescenza anche nel mutare delle regole, e la variazione di alcune di queste fu decisiva nell’imporre un nuovo modo di pensare il gioco.
L’uomo a cui è ascritto il merito di avere introdotto il calcio moderno con l’invenzione di un nuovo sistema di gioco si chiamava Herbert Chapman.
Giocatore modesto, abbinò il calcio allo studio, riuscendo a laurearsi in ingegneria, diventando allenatore mentre giocava nel Northampton Town nel 1907.
Chapman, però, riuscì subito ad essere un allenatore diverso, occupandosi di tutti gli aspetti che concernevano la vita di un club e di tutti gli aspetti che riguardavano i suoi giocatori, dagli allenamenti tecnici alla preparazione atletica, alla dieta, anticipando in sostanza la figura del manager inglese come lo conosciamo oggi.
La sua cultura superiore, del resto, gli permise di apporre modifiche valide allo svolgimento del gioco stesso, dall’utilizzo dei fari per le gare notturne all’uso del pallone a esagoni bianchi e neri per avere una migliore visibilità fino ai numeri sulle maglie dei giocatori.
Passato all’Huddersfield Town iniziò a mietere successi, due titoli inglesi e una FA Cup che gli valsero il passaggio all’Arsenal.
Fu alla guida dei Gunners che accadde quell’episodio che accese la lampadina che gli permise di sviluppare l’idea duratura e vincente.
Abbiamo scritto che quello era un periodo di grande fermento di cambiamenti regolamentari, nel 1925 per incentivare i gol che in quel periodo scarseggiavano, e conseguentemente aumentare la spettacolarità delle partite, l’Ifab, l’organismo che controlla e modifica le regole, cambiò appunto quella del fuorigioco: se prima per essere in off side un giocatore doveva avere tre uomini davanti a sé al momento del passaggio, ora ne erano sufficienti due.
Un cambiamento epocale, perché metteva in inferiorità numerica le difese, con ovvie conseguenze.
Da subito Chapman cominciò a lambiccarsi alla ricerca di una soluzione, come ad Isaac Newton fu una mela caduta in testa a suggerire la teoria della gravitazione universale, al nostro ingegnere prestato al calcio (o viceversa) fu una corposa e pesante sconfitta, un clamoroso zero a sette subito il 3 ottobre del 1925 dal Newcastle, a incoraggiarlo a cambiare subito.
Consultandosi con Charles Buchan che, oltre ad essere capitano ed attaccante della squadra, era anche il suo uomo di fiducia, fu trovata la soluzione: arretrare un uomo dal centrocampo al centro della difesa, conseguentemente fare lo stesso con uno dall’attacco al centrocampo, passando dal 2-3-5 al 3-4-3.
Niccolò Copernico che espone la teoria eliocentrica.
Il tutto da mettere in pratica con gli stessi uomini, senza cambiare formazione, nell’imminente gara dell’”Upton Park” contro il West Ham, il 5 ottobre.
Prima della gara, alla lavagna Chapman disegnò una W e una M, ai cui vertici scrisse i nomi dei giocatori: Lewis in porta; Mackie, Kennedy e Butler i tre difensori; a centrocampo Baker e Blyth arretrati, Buchan e Neil avanzati dietro ai tre attaccanti, Brain centrale, Hoar e Haden ali d’attacco.
Arrivò la vittoria sonante, quattro a zero, ma quel giorno era nato il Chapman System, passato alla storia come Sistema, modello di gioco che fu adottato in tutto il mondo fino agli anni Cinquanta, da noi dal Grande Torino dei cinque scudetti.
Al di là del successo, l’”invenzione” di Chapman portò ordine nella dislocazione dei giocatori, l’invenzione dello stopper come ruolo, la ricerca della profondità come concetto offensivo, il ragionamento come sviluppo di gioco.