Esiste una dimensione dello sport che è molto diversa da quella violenta, esasperata e superficiale che spesso ci viene mostrata
Per quanto incredibile possa sembrare, è una dimensione che sconfina nella più alta Letteratura, sia per il valore degli atleti sia per i contesti storici ove avvennero imprese e record.
È stato così per Dorando Pietri, per Jesse Owen, per Giuseppe Meazza e per molti altri.
Personalmente ritengo che ogni attività sportiva praticata senza una base culturale, è solo un’effimera manifestazione destinata ad essere ben presto dimenticata.
Anche il Calcio ha avuto un’epoca d’oro, mitologica.
Essa coincise con la fine della Grande Guerra e terminò con l’inizio della Guerra Fredda, ovvero fra il 1920 ed il 1956.
In quell’arco temporale si affermarono sulle rive del Danubio, due grandi scuole di Calcio e di vita che vennero per questo identificate come “La scuola Danubiana”.
Geograficamente ne facevano parte le Nazioni della Mitteleuropa ed in particolare l’Austria non più imperiale ed Asburgica e l’Ungheria Budapestiana colta ed illuminata come poche altre Nazioni al mondo.
Nomi come Arpad Weisz, Bela Guttman, Hugo Meisl, oggi praticamente sconosciuti, furono, prima ancora che uomini di Calcio, fior di intellettuali poliglotti con tanto di lauree in vari campi dello scibile umano.
Negli anni Trenta del Novecento, la Nazionale Austriaca, denominata “Wunderteam”, ovvero “squadra delle meraviglie”, sviluppò un’idea di gioco che ancora oggi è fondamentale nelle disposizioni tattiche dei moderni allenatori.
Il Wunderteam ruotava attorno al suo Capitano, il mitico Matthias Sindelar che fu soprannominato “Mozart” per l’alta maestria della sue giocate.
Sindelar era un uomo di grande coraggio e pagò con la vita il suo rifiuto di giocare con la maglia della Germania Nazista, dopo che la sua Austria venne ingoiata dalla follia Hitleriana dell’Anschluss.
Matthias Sindelar & Ferenc Puskas
Poco più di vent’anni dopo, lungo il corso dello stesso Danubio, fiume fatale per i destini dell’Europa, i vari Puskas, Grocsic, Kocsis, Hidegkuti, furono gli artefici della nascita della “Grande Ungheria”, ovvero dell’Aranycsapat, “La squadra d’oro”, che trasformò letteralmente l’idea del Calcio.
Quei fantastici ungheresi anticiparono di venticinque anni la mitica squadra olandese di Cruijff & company.
Né il Wunderteam né l’Aranycsapat vinsero mai il Mondiale (all’epoca unico e solo torneo oltre quello Olimpico) ma proprio per questo entrarono nella leggenda.
Le loro sconfitte (probabilmente indotte), modificarono il corso degli avvenimenti storici e furono decisamente più importanti di ogni altra vittoria.
Ancora oggi molti studiosi ritengono che la sconfitta dei Magiari a Berna, nel 1954, fece da incubatrice per la Rivoluzione Ungherese del 1956.
Molti anni più tardi, precisamente il 14 giugno 2016, nella fase finale di una grande manifestazione, il Campionato Europeo, si giocò di nuovo Austria – Ungheria.
Ma quella fu solo una partita di Calcio, una delle tante giocate e di certo fra le meno fascinose.
La grande Letteratura e la grande Storia ricordano nei loro libri ben altro, due nomi e due filosofie di vita: