STORIEDICALCIO.ALTERVISTA.ORG – Sembrava un formalità per gli azzurri di Rocca impegnati alle Olimpiadi sudcoreane del 1988. Ma accadde l’imprevedibile: i nostri fermi, boccheggianti nel caldo umido coreano, quelli africani veri proiettili, con un nome su tutti: Kalusha Bwalya
Il ballo prende avvio allo Stadio Mu Dung di Gwangju, Corea del Sud, esattamente alle ore 17 locali del 19 settembre 1988, San Gennaro. Per l’esattezza, a ballare cominciano gli undici giocatori in maglia arancione, mentre gli altri undici, in maglia azzurra, hanno deciso di assistere svogliatamente allo spettacolo. Un po’ come i 9800 spettatori sugli spalti, autoinvitatisi alla festa di quel pomeriggio. Spettatori che, ad occhio e croce, appaiono più interessati degli azzurri a quanto sta per accadere sul tappeto verde.
Fin da subito si capisce come sarebbero andate le cose. Gli arancioni danzano sulla palla, la fanno circolare, fluida, come una canna attorno ad un falò. Agili, svelti, scattanti, ottimo palleggio, buonissimo controllo. E poi dribblig e controdribblig, funambolici disimpegni, supremazia in tutte le parti del campo. Quelli in maglia azzurra arrancano, sbuffano, sudano, si dannano l’anima. Non riescono ad indovinarne manco una. E dài al centro. Ma la prendono gli altri. E crossa lungo che ci arrivano i difensori avversari. E tenta un affondo che ti chiudono in fallo laterale. E poi gli arancioni ripartono. Tac tac, due passaggi e sono in area di rigore. E una volta, gli azzurri si salvano. E due volte, si salvano. Il filtro a centrocampo non funziona. Ma, perché, la difesa va invece? No, certo che no. E l’attacco? Una lagna.
Gli azzurri, ovviamente sono gli italiani. Ma gli arancioni non sono l’Olanda. Indossano questa casacca solo per l’occasione. E benché pressino a tutto campo e siano capaci di far sparire la palla alla vista degli avversari per farla ricomparire a limite dell’area di rigore che manco il teletrasporto, loro sono solo lo Zambia, i Chipolopolo, che abitualmente indossano la maglia verde. Verde acceso, come la speranza, il sogno, il raggio di Rohmer.
Gli italiani sono balbettanti.Camminano e corrono con la corrente alternata. Sarà il caldo? Certo, 30 gradi non sono pochi, ma neanche la fine del mondo. Intontiti, confusi, con i cubetti di porfido in testa. Non capiscono, ma si adeguano. Al gioco altrui. Gli africani dominano, controllano, non li lasciano respirare manco con la maschera d’ossigeno. Gli zombie in azzurro, tramortiti, si guardano e non si vedono. Il cittì Francesco Rocca, Kawasaki, si dimena, cerca soluzioni, trova un muro di cemento armato alto alto. Rivestito di gomma insonorizzante.
L’Italia schiera gente, campioni, come Stefano Tacconi in porta, Pietro Paolo Virdis ed Andrea Carnevale in attacco, Massimo Mauro come regista, Ciro Ferrara, Mauro Tassotti, Roberto Cravero e Roberto Galia in difesa, Giuseppe Iachini, Luigi De Agostini a centrocampo, supportati da Angelo Colombo come esterno destro. In panchina gente come Pagliuca, Rizzitelli, Evani, Desideri, Massimo Crippa ed i meno conosciuti Brambati, Pellegrini Carobbi e Giuliani (terzo portiere). Ma non necessariamente tanti buoni calciatori, o persino campioni, fanno una squadra.
Due giorni prima gli italiani avevano affondato sotto cinque gol i malcapitati guatemaltechi. 5-2. Lo Zambia aveva pareggiato per 2-2- con l’Iraq. Il gruppo B ci sembra Disneyland. Si assapora una finale e, chissà, se la fortuna ci aiuta
Ma al 40° della partita del 19 settembre, arriva la prima bastonata. Non proprio inattesa. Pallone recuperato a centrocampo dalla difesa africana, in chiusura su Colombo, passaggio a Musonda che dall’inizio del match fa su e giù con la precisione implacabile di un pistone nel cilindro. Bene, Musonda, non guarda nemmeno. Sa che lì davanti c’è Kalusha Bwalya. Dritto per dritto per il compagno. Scatto dell’attaccante, mentre la difesa pettina le bambole e sinistro in corsa. Tacconi che gli è andato incontro, in tuffo, riesce solo a smorzare il tiro. Ma il pallone, lentamente, lo supera, calamitato beffardamente in fondo alla rete. 1-0 e Italia a bocca aperta e testa in ampolla.
Si va al riposo sul vantaggio zambiese.Durante l’intervallo, Kawasaki Rocca deve essere andato giù duro di striglia, se la squadra torna in campo un po’ più compatta, determinata. Ma dura poco. Appena dieci minuti. Al 55°, l’arbitro inglese Hackett punisce con un calcio di punizione dal limite un’entrata neanche troppo assassina di Ciro Ferrara su Nyirenda. Siamo al vertice sinistro alto dell’area di rigore. Al centro poca ressa. Solo due giocatori in maglia arancione. Tacconi fuori dai pali, pronto all’uscita. Ma Kalusha Bwalya non ha nessuna intenzione di crossare al centro. Anzi. Di sinistro scavalca la barriera e insacca direttamente, sotto lo sguardo di pongo di Tacconi e di tutti gli italiani.
Una beffa. Si corre dall’arbitro chiedendol’annullamento: era di seconda. Ma Hackett non ne vuol sapere: era di prima e il gol è valido. 2-0 e azzurri con il morale di uno stercorario. Rocca corre ai ripari. Al 61° richiama in panchina Cravero e Colombo e getta nella mischia Luca Pellegrini e Massimo Crippa. Due minuti dopo, lo Zambia va sul 3-0. Bastonata da lontano, a pallonetto leggermente deviato da Pellegrini, del numero 7, Johnson Bwalya (neanche parente dell’altro Bwalya, Kalusha) e Tacconi è di nuovo sorpreso. Una statua di sale. Sale e bile. Ma il bello è che i verdi non la smettono.
Corrono, pressano, palleggiano, dribblano. Sembra che siano appena scesi in campo. Freschi come una rosa. Gli italiani, in campo, mostrano la leggiadria di un monumento sovietico degli anni cinquanta. Dopo un altro paio di occasioni una in particolare porta Johnson Bwalya a tu per tu con Tacconi – gli africani calano il poker. Improvvisa verticalizzazione di Melu per il solito Kalusha Bwalya che si ritrova davanti al portiere azzurro assolutamente indifeso. Sinistro rasoterra e gol. 4-0. Una delle più atroci disfatte dell’Italia calcistica. Paragonabile alla Corea del ’66.
Ma il cammino non sarà pregiudicato. In quel girone, lo Zambia, che sconfiggerà anche il Guatemala con lo stesso punteggio di 4-0, arriverà primo, mentre l’Italia, sconfitto due giorni dopo l’Iraq per 2-0, arriverà seconda. Nei quarti ai Chipolopolo toccherà la Germania di Jurgen Klinsmann, Karl-Heinz Riedler e Thomas Hassler. Perderanno 4-0. L’Italia andrà un po’ più avanti. Eliminerà ai supplementari grazie ad un gol di Crippa al 98°, dopo che i tempi regolamentari si erano chiusi sull’1-1 la Svezia. In semifinale incontrerà l’URSS di Michailychenko e Dobrovolsky. Perderà, sempre ai supplementari, per 3-2. E perderà anche la finale per il terzo posto con la Germania: 3-0. In finale, invece, i sovietici sconfiggeranno il Brasile di Romario, Bebeto e compagnia cantante: 2-1 e medaglia d’oro.
Il 27 aprile 1993, un martedì, un cargo militare, un Buffalo DHC-5D, decolla dall’aeroporto di Libreville, in Gabon. Su quell’aereo siedono 18 giocatori della nazionale zambiana e 12 tra tecnici, dirigenti dello staff e uomini dell’equipaggio. Sono diretti a Dakar, Senegal, dove è in programma la partita contro la nazionale locale per le qualificazioni ai mondiali americani dell’anno dopo. Ma quel cargo non arriverà mai a destinazione. Si inabissa in seguito ad un guasto al motore nelle acque al largo del Gabon. Tutti morti i passeggeri.E i verdi dello Zambia? I pronostici e il futuro sono tutti per loro. Quella performance contro l’Italia da’ credito alle previsioni degli esperti che, fin dal 1982, con il Camerun e l’Algeria, paventa la grande crescita del calcio africano. Il calcio del duemila: corsa, tecnica, resistenza, palleggio, dribbling. Solo il senso tattico era da migliorare. A volte erano un po’ poco smaliziati, ingenui. Ma questo si può migliorare, anche grazie agli apporti dei giocatori che calcano i campi esteri. Sarebbe andato lontano, quello Zambia, dicono i più, e tra qualche anno ce lo ritroviamo ai vertici del calcio mondiale. Con buona pace di europei e sudamericani. Il futuro sorride. Basta aspettare e lavorare, lavorare e aspettare. E crederci, naturalmente. Ma il futuro dei Chipolopolo non si rivelerà così roseo.
Tra gli eroi di Seul, periscono il portiere e capitano David Chabala, il secondo portiere Richard Mwanza, i difensori Edmon Mumba, Derby Makinka, Peter Mwanza, i centrocampisti Wisdom Chansa ed Eston Mulenga. Sopravvissuti alla tragedia, autentici morti viventi, furono il goleador Kalusha Bwalya, il fratello Joel, Johson Bwalya e Charles Musonda. Giocavano tutti all’estero (Kalusha in Olanda, nel PSV Eindhoven; Johnson in Svizzera, nel Lucerna) ed avrebbero raggiunto la nazionale direttamente in Senegal. Ma a Dakar non arrivò mai nessuno.
Testo di Giuseppe Tramontana
ZAMBIA – ITALIA 4-0
Marcatori: K. Bwalya al 41′ ed al 56′ , autorete di Pellegrini al 64′ , K. Bwalya al 90′
ZAMBIA: Chabala 6,5; Chabinga 6,5; Mumba 7; Chomba 6,5; Melu 7,5; Makinka 7; J. Bwalya 7; Musonda 7,5; Nyirenda 6,5 (dal 71′ Chikabala s.v.); Chansa 7; K. Bwalya 8,5.
ITALIA: Tacconi 6,5; Tassotti 4; De Agostini 5,5; Iachini 4; Ferrara 4; Cravero 5,5 (dal 61′ Pellegrini s.v.); Mauro 4; Colombo 5 (dal 61′ Crippa 4); Carnevale 4; Galia 4; Virdis 6.
ARBITRO Hackett (Inghilterra) 5,5.
Note: ammoniti Ferrara, Mauro, Tacconi, Colombo e Makinka. Spettatori 9.200. Calci d’ angolo 8-5 (5-1) per lo Zambia.
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