La Gazzetta ha intervistato il Maestro Zdenek Zeman in occasione delle 1.000 panchine in carriera raggiunte in Foggia-Paganese di domenica 7 novembre.
Tutto parte da quel 21 agosto del 1983, derby di Coppa Italia serie C, Licata-Agrigento Akragas: Zeman ha solo 36 anni ed è alla sua prima partita da professionista con il Licata.
Di seguito uno stralcio delle dichiarazioni di Zeman …
Sulla sua partita più bella …
“In un lontano Udinese-Foggia ci ritrovammo in nove uomini, ma in campo sembravamo in 12: movimenti perfetti, pareggiammo. Il mio Licata in Serie C ha forse interpretato al meglio le mie idee… Ma se do queste risposte mi prendete per matto. E allora ammetto che il Foggia dei miracoli nel primo anno in A e quello che nel secondo arrivò nono pur avendo cambiato dieci undicesimi della squadra, rappresentò una rivoluzione. Che l’8-2 della Lazio alla Fiorentina di Ranieri, Batistuta e Rui Costa e il 4-0 alla Juve di Lippi, Del Piero e Vialli, furono spettacolo puro. E che il 5-0 della mia Roma al Milan di Capello, non fu una brutta partita… Il mio Lecce ebbe il secondo attacco della A, con 66 gol uno in meno della Juve campione. E non dimentico tante partite del Pescara che venne in A, quando Verratti, Immobile e Insigne erano solo bambini e non ancora campioni d’Europa”.
Una infinità di giocatori lanciati e valorizzati e la sua visione del calcio …
“Totti è stato il più grande di tutti, ma il suo talento non è stato merito mio. Signori quando lo volli non aveva mai segnato e divenne un bomber implacabile. Ma la soddisfazione maggiore è stata mandare in Nazionale da club piccoli, giocatori che non ci si erano mai avvicinati … […] ho sempre pensato che per vincere bisognasse segnare un gol in più dell’avversario. E questo ho sempre chiesto alle mie squadre. Non è vero che non curavo la fase difensiva, ma l’obiettivo è sempre stato imporre il gioco, cercare il gol e soprattutto divertire il pubblico. Il mio calcio non è mai stato utopia: ho sempre inseguito anch’io il risultato, ma cercando di ottenerlo attraverso lo spettacolo e la bellezza, nel rispetto delle regole e di chi faceva sacrifici per venire allo stadio. Magari non sempre ci sono riuscito, ma non ho mai smesso, né smetterò mai di pensare che questa era è e sarà sempre la strada giusta”.
La sua denuncia … “Il calcio deve uscire dalla farmacie” …
“Senza nessun dubbio. Non mi sono mai pentito di quel che ho detto e sostenuto. Il tempo mi ha dato ragione e il riconoscimento della gente ancora oggi è per me motivo di grande orgoglio […] Vincere barando, non rispettando le regole o, peggio ancora, mettendo a rischio la salute degli atleti è una pratica criminale. Sono scoppiati scandali, ci sono stati processi sportivi e ordinari, condanne. È stato dimostrato che c’era tanto marcio. Non so quanto le mie parole siano servite … […] Ma so che tanti all’interno del Sistema sapevano e speculavano perché su quelle derive si costruivano vittorie e fortune, si esaltavano o affossavano carriere. Io ho solo detto ciò che ritenevo giusto. Mi addolora solo sapere che a pagare il prezzo delle mie denunce siano state anche le mie squadre in campo” […]
Gazzetta dello Sport – Andrea Di Caro
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